Cattivi vicini
Il cinema della factory di Judd Apatow si conferma un'oasi familista di eterni ragazzi, sboccato e scorretto
La scena iniziale di Cattivi vicini (Neighbors in originale) a suo modo è folgorante: Seth Rogen e Rose Byrne fanno sesso su una sedia mentre la loro figlia, ancora in culla, li guarda. Il risultato è ovviamente di imbarazzo e frustrazione, con Rogen che prova a motivare il coito simulando un coinvolgimento se possibile ancor maggiore e dandosi una carica tripla, visto la scomodità della situazione in cui i coniugi si trovano. E’ una sequenza che fa da summa alla commedia americana contemporanea targata Judd Apatow, che con la sua factory colonizza imperterrito da anni l’immaginario delle risate a stelle e strisce: personaggi sboccati, scorrettezza fumettistica, rifiuto dell’essere genitori, come se avere figli significasse non solo essere guardati per la prima volta da qualcuno dal basso verso l’alto (e non più dall’alto in basso) ma anche acquisire delle responsabilità che mortificano l’essere umano e la sua carica vitalista.
“Ho il diritto ad essere irresponsabile!” tuona Rose Byrne in uno dei litigi con Rogen, e non potrebbe esserci frase più rappresentativa. Della generazione di quarantenni bamboccioni e sperduti in un mare indistinto di occupazioni da perdigiorno e triviali passatempi, rinchiusi in un’immaturità bidimensionale a base di pornografia ed erba, Apatow è ormai l’altoparlante, la voce incontrastata, il gazzettino puntuale. E con lui i suoi accoliti, più o meno bravi e capaci, a rendere meno rinsecchito e afasico lo scenario di una commedia Usa che s’evolve ma non cambia forma. Perché quello di Apatow è un universo immobile, conservativo ancor prima che conservatore, in cui non si cresce ma si resta fermamente uguali a se stessi, come dei Peter Pan che anziché volare sul Big Ben si sbronzano e gracchiano le gag di South Park.
Nicholas Stoller, tra gli artefici di quella che è la cattiva coscienza cinematografica di una masnada di adolescenti irredimibili, è uno dei figli artistici (ma anche sodali) di Apatow più validi. Lo dimostra la sua ecletticità e un film che andava assolutamente a segno come 5 anni di fidanzamento, per tacere del precedente Non mi scaricare. Il prologo del suo ultimo film che si citava in apertura, se non fosse per il voyeurismo infantile in più, è praticamente identico a quello di Questi sono i 40 dello stesso Apatow. A riprova che la filiazione è inevitabile e che la factory funziona per genesi diretta: di padre in figlio, l’eredità è automatica e subito raccolta, con una prontezza che diventa rimando istantaneo, ipertesto, manifesto del tempo presente. E’ questo l’elemento, anche teorico, di maggior interesse in un cinema sempre uguale a se stesso, vispo ma programmatico.
Vale anche per Cattivi vicini, galvanizzato dalla presenza di uno Zac Efron che fa a pezzi con molta autoironia la sua icona e che ci tiene, consapevolmente, a degradarsi. Ma il vero punto di forza del film è proprio l’alchimia tra Rogen e la Byrne, coppia perfettamente dosata per rancori e idiosincrasie, oltre che per complicità e affiatamento sullo schermo. I due sono alle prese con le feste dei nuovi vicini, modello confraternita, alla Animal House. Gli eccessi di gioventù sono ancora accattivanti ma ora per loro c’è la famiglia, i doveri e il confronto col mondo esterno presentano ben altre esigenze come parametri di riferimento. Dismettere la spensieratezza, però, non è facile. Occorre sacrificio, ci vuole una dose di maturità capace di temperare la follia. E allora ecco che gli equilibri saltano e le crisi ormonali, oltre che le alzate di voce, diventano, come sempre nel cinema di Apatow e soci, la certificazione di una nevrosi, di un rapporto deviato con la realtà e le fasi della vita che nasconde la totale assenza di lucidità e lungimiranza.
Tutto ciò non è mai criticato o messo sul banco degli imputati, ma solo raccontato, tra intimità costruite a fatica e poi violate da facezie, secondo un meccanismo continuo di gag e stilizzazioni più sottile di quel che sembri. Lo sguardo dei registi che gravitano intorno all’autore di Molto incinta, Stoller compreso naturalmente, è esso stesso partecipe, probabilmente, di certi modelli comportamentali, basti pensare a come Rogen racconta se stesso e la sua nomea di strafattone seriale attraverso i film che interpreta e produce. Ed è proprio per questa ragione che operazioni di questo tipo si caricano di un peso specifico non da poco, di uno spessore in cui ciò che è narra ha tanto più valore quanto più grande è il coinvolgimento di chi lo riferisce. Tutte le parti in causa continuano così a perpetrare una girandola impudente e decerebrata in cui conta solo, al cinema come nella vita, tirare la propria umile carretta senza intoppi, con la giusta dose di cattiveria (e cinismo indecente), che grazie al cielo in Cattivi vicini non è poca e assicura risate acide non indifferenti. Replicando se stessi, all’infinito, stancamente, senza patemi. Proprio come in un qualsivoglia ménage che si rispetti in un nucleo di persone qualsiasi. Da qui la valenza, sociale, familista e antropologica, che il cinema di Apatow & co. non può non prendere sulle proprie spalle. Perfino, azzardiamo, suo malgrado.