Due scatole dimenticate - Un viaggio in Vietnam
Lettera ad un film mai realizzato. Conflitti e memorie nei diari fotografici della maestra del documentario italiano
A partire dal cortometraggio precedente Le Vietnam sera libre, Cecilia Mangini e Paolo Pisanelli, uno dei migliori sodalizi registici italiani di cinema non-fiction, proseguono il recupero e la rielaborazione di un inedito reportage della Mangini, allargando però la prospettiva e includendovi il delicato e intimo scandaglio di memoria personale della stessa autrice.
Due scatole dimenticate – Un viaggio in Vietnam non è infatti solo la valorizzazione multimediale (se si tien conto anche della mostra fotografica Cecilia Mangini -Visioni e Passioni, il cui backstage compone i titoli di coda) dell’ambizioso documentario intrapreso da Cecilia Mangini e Lino Del Fra tra il 1965 e il 1966 sulla guerra del Vietnam, progetto che a causa del forzato rimpatrio in Italia per motivi di sicurezza non andò oltre le fasi preliminari dei sopralluoghi sul campo. L’opera è in verità l’intensa rilettura emotiva, filtrata dal senno di poi, delle riflessioni che sottesero quel tempo di viaggio e ricerca e ancora oggi pervadono questo futuro–presente, quasi fossero fantasmi rimossi e irrisolti, in cerca di giustizia e giustificazione per le intenzioni non soddisfatte che ancora custodiscono. Prima che sia troppo tardi.
Molti raccordi tra le sequenze sono girati infatti con effetti distorsivi, quasi onirici, minacciosi buchi neri o varchi virtuali per dimensioni parallele, ma più d'ogni altro risalta il suggestivo dialogo di campo e controcampo ricamato senza soluzione di continuità tra inquadrature d’oggi e materiali di repertorio, come se una moviola ideale rinsaldasse spazi e salti temporali. Va così alternandosi un intreccio di stratificazioni narrative, che vede in superficie la cornice di commento onnisciente della protagonista (tanto il suo rammarico per quello che non è stato, quanto il suo ritrovato entusiasmo per questioni che le restano sempre care, come il ruolo portante delle donne nella società, da contadine a combattenti armate). Segue correlativamente in una immaginaria soggettiva, lo storytelling di istantanee degli straordinari negativi di pellicola ritrovati a distanza di cinquant’anni: scorci di città, porti e risaie, su cui si stagliano i ritagli della vita quotidiana di un popolo intero impegnato a conquistare e difendere con orgoglio la propria indipendenza. Volti, gesti e pose di donne e bambini, la calca della folla impegnata in intrattenimenti di piazza, persino una coppia di innamorati, lì dove tutto parla di distruzione incondizionata, sono accompagnati in voice over dall’interpretazione recitata della prima stesura di sceneggiatura che Lino Del Fra e Cecilia Mangini abbozzarono durante la loro permanenza in Vietnam.
A ciascun livello pare affidato un tenore e un registro distinto di racconto: la selezione e il montaggio dei materiali fotografici giocano con gli zoom sui dettagli e rumori di fondo contestuali, ora per sviare, ora per chiarire i soggetti ripresi, a simulare il difficile sforzo di ricomposizione memoriale; mentre la sceneggiatura recitata svolge una funzione conduttrice melodica, quasi pacificante a dispetto della lotta che va indagando; infine, ma decisamente prioritario nell’economia del film, la dicotomia tra memoria collettiva della Storia (risultante di immaginario, mitizzazione e mediatizzazione) e la memoria individuale (vittima dell’inesorabile età che avanza, per quanto allenata, ragionevole, militante). Una memoria personale che va frantumandosi, confondendosi nella galleria dei ricordi di una vita intera, fosse anche la vita di una testimone diretta e lungimirante della Storia medesima. Dicotomia, aporia, paradosso. Perché più si richiama alla mente l’infanzia lontana più i tasselli tornano indelebili, a tamburo battente, scolpiti nella pietra, al contrario più si risale all’età adulta e alla quotidianità, più tutto si sgretola, come un mandala non destinato a durare.
Il documentario si biforca, dunque, in un doppio diario di guerra vissuto dalla Mangini e riprodotto con Pisanelli. Da un lato il resoconto dei suoi giorni in Vietnam, scampata alle bombe aeree. La guerra Vietnamita, una guerra vinta. Dall’altro il diario di un conflitto in apparenza perso in partenza, la guerra contro le macerie della propria memoria, nonostante la sua casa sembri una trincea di resistenza, stracolma di libri, riviste, dischi, cimeli, catalogazioni cronologiche e geografiche, appigli pronti a colpo d’occhio e a portata di mano. Eppure anche in questa casa, vera e propria estensione d’archiviazione esterna, qualcosa ancora sfugge e il caso la fa da padrone, celando e riportando alla luce scatole ignorate e fuori posto. Scatole di scarpe, bottino di guerra, prezioso tesoro, inestimabile eredità per l'ancora poco praticato Cinema di Storia contemporanea, che per nostra fortuna la maestra del documentario italiano ancora non smette di consegnarci a piene mani.
Prodotto da Officina Visioni in collaborazione con Rai Cinema, il film è stato presentato in anteprima internazionale all' IFFR – International Film festival di Rotterdam 2020.