Speciale MUBI - Sans soleil

di Chris Marker

Su Mubi il capolavoro di Chris Marker. Per perdersi e ritrovarsi nella vertigine del ricordo.

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[Questo articolo fa parte di uno Speciale dedicato alla piattaforma di streaming on demand MUBI, un focus monografico composta da una galleria di recensioni contaminate da riflessioni teoriche, emotive, autobiografiche, per riflettere trasversalmente sul tema della cinefilia on demand e sul più generale rapporto che intessiamo oggi con le immagini. Il progetto è stato presentato e inquadrato nell'editoriale "Di MUBI e del nome del cinema", che potete trovare qui].

Marchiati per sempre da quell’immagine di tre bambini che, camminando, si tengono per mano. E guardano in macchina. E poi il nero.

Dopo anni torno a riflettere su quell’autore dalla biografia incerta a cui dedicai la mia tesi magistrale. Il regista alieno, come diceva Alain Resnais, tra i pochi che conoscevano bene Chris Marker.
Ma curiosamente ne riscrivo per uno speciale su MUBI, la piattaforma OTT che ha deciso in piena emergenza sanitaria di ampliare il suo catalogo con la sezione Videoteca che rende "sempre" disponibili diversi contenuti. E qui troviamo tanto della sterminata produzione di Marker, tanto che, rimasi meravigliata e sorpresa, quando qualcuno mi scrisse, in pieno Lockdown “C’è tutto Marker su MUBI!”.
Se Chris Marker fosse ancora vivo, forse sceglierebbe proprio questa piattaforma per rendere disponibili le sue innumerevoli produzioni.  Non che sarebbe refrattario alle altre - durante la sua vita non ha mai smesso di sperimentare, accumulare, stare al passo con quello che succedeva nel mondo e nelle tecnologie addirittura con un profilo su Second Life, sotto le mentite spoglie dell’iconico gatto Guillaume-en-Egypte. Ma immagino MUBI come sua piattaforma d’elezione.

Mi pare più che calzante scegliere per questo corposo speciale Sans soleil, il film-saggio per eccellenza, l’elegia dell’immagine, tra le opere definitive sulla funzione del ricordo, inserito in un servizio di streaming che sfugge alla legge della bulimica offerta di contenuti, ma seleziona in modo ragionato autori, sezioni, tematiche, nel nome della qualità e non della quantità. E forse proprio come questo film, vuole suscitare nello spettatore una viva curiosità.
Che cosa sia Sans Soleil (1983) e di cosa parli, all’ennesima visione mi risulta ancora un affascinante mistero. Un saggio sul Giappone, dove Marker ritorna dopo Le mystère Koumiko del 1965, documentario che esplorava la Terra del Sol Levante attraverso il volto di una donna-gatto; ma anche un film sull’impossibilità di mummificare il tempo, sulla soggettività della memoria, sull’impermanenza delle cose e sulla caducità dell’esistenza. Qui si parla del Giappone passando per diverse parti del mondo, per i diversi continenti: Guinea Bissau, Islanda, Île-de-France, Stati Uniti, Capo Verde.

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Narrato dalla voce di Florence Delay che legge le lettere del regista Sandor Krasna (ovviamente un alter-ego di Marker stesso), Sans soleil è un lungo e delicato flusso di immagini, di riflessioni, di ricordi, un’opera su quella discreta malinconia tipica del mondo nipponico, mondo da cui il regista-viaggiatore vuole imparare a sentire la poignance des choses, inseguendo sempre con spirito nervaliano, l’Immagine.
Costruito in una forma epistolare, i capoversi vengono introdotti dalla frase “Il m’ecrivait…” (Mi scriveva...): l’uso del tempo imperfetto, il tempo del sogno e dell’incertezza, costituisce un refrain che apre a un commento apparentemente slegato dalle immagini che scorrono sullo schermo. Tra il commentaire e le immagini vi è però un rapporto di continuo scambio, le parole sfiorano le immagini e le immagini riempiono costantemente le parole.  

«Dopo vari giri del mondo, ora mi interessa solo la banalità. In questo viaggio, l'ho inseguita con l'implacabilità di un cacciatore», scrive nella sua lettera Krasna/Marker. La sua è infatti una Tokyo in tutte le sue caratteristiche più quotidiane: le feste, i riti, la televisione, i giovani, la religione, i reietti, gli onnipresenti gatti e civette. Attraverso questa banalità, Marker ci parla in maniera profonda di un paese dalla millenaria e complessa tradizione, delle sue contraddizioni, della sua opposizione al pensiero occidentale, della sua perenne e geografica transitorietà. Il Giappone, a rischio continuo di terremoti, porta con sé questa minaccia che rende tutto ancora più fragile e precario. D’altronde, scrive il regista-viaggiatore, «la poesia nasce dall’insicurezza». Proprio questa intraducibile impermanenza delle cose, lo scorrere continuo del fluire esistenziale, diventa il flusso dei fotogrammi che Marker raccoglie e monta al fine di rendere nuovamente tradotto in immagine un cinema che cristallizzi lo scorrere del tempo, ma anche l'effimero delle nostre esistenze, l’inevitabile scomparire nella spirale del tempo.

Come la lista di Sei Shōnagon "delle cose che fanno battere il cuore", Sans soleil è un elenco di frammenti di realtà, di volti, dall'Africa all'Asia, paesi dove il tempo e la morte sono percepiti in maniera differente. Marker cerca infatti di avvicinarsi sempre più a questo spirito tipicamente orientale di sentire l'intensità toccante delle cose e lo fa nella ricerca del banale. Sembrerebbe il modo più diretto di accorgersi della bellezza che si cela dietro alle parole, agli elementi che compongono la vita. Più volte Krasna/Marker evidenzia come noi, in Occidente, non smettiamo di «privilegiare l'essere rispetto al non essere, il detto rispetto al non detto», allora, come possiamo penetrare all'interno delle cose?
In Sans soleil lo spettatore viene così continuamente stimolato a seguire due direzioni diverse, quella delle parole e quella delle immagini che sembrano porsi su due livelli indipendenti. L'associazione tra un'immagine e l'altra non è immediata, allo stesso modo il rapporto tra le parole pronunciate da Florence Delay e le "videolettere" di Sandor Krasna non sembra così diretto. Eppure coesistono in un rapporto di necessità, l'uno sembra richiedere sempre l'altro. Le immagini non traducono le parole pronunciate nel commento, mentre le parole non raccontano quello che vediamo sullo schermo, esse si toccano, si compenetrano, creano impressioni e stimoli che sfuggono alla narrazione lineare. 

Sans Soleil è un continuo scorrere di sensazioni, di lampi sinestetici, di visioni, ricordi e meditazioni: bisogna abbandonarsi a questo fluire di pensieri. Guardando e riguardando Sans soleil si ha come la sensazione di voler bandire il raziocinio, di abbandonare qualsiasi aspettativa, per lasciarsi sedurre. Non si può parlare di Sans soleil come di un ordinario documentario, sarebbe come relegarlo ad una categoria precisa per un’opera che vuole sottrarsi a qualsiasi categoria.
Il capolavoro di Chris Marker è una sinfonia, una lettera d’amore, al cinema, al Giappone, ai volti e, di nuovo all’immagine. La fascinazione per i volti delle donne è un leitmotiv dell’intera filmografia markeriana. In Sans soleil, il regista-vaggiatore si sofferma sui volti delle donne africane, simboli di una bellezza millenaria e abbacinante. Nelle lettere racconta delle tradizioni delle isole Bijagós, dove le ragazze devono scegliere il proprio fidanzato, mentre sullo schermo vediamo il volto di una donna che guarda davanti a sé, sorridendo perché consapevole di essere ripresa. Sempre dall'Africa, riflette sulla figura femminile e si chiede come filmare le donne del Bissau che continuano a sfuggire alla macchina da presa, nascondendosi in un gioco di seduzione attraverso lo sguardo.

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Sans soleil è tra le tante cose, un saggio sulla memoria, sulla natura del ricordo, sul cinema come mezzo per ricordare, imprimere gli istanti e renderli eterni. Mentre le onde del mare compiono il loro movimento incessante, la voce di Florence Delay legge le parole di Sandor Krasna: "Mi scriveva: «͔Avrei passato la vita a chiedermi la funzione del ricordo, che non è il contrario ma l'altra faccia dell'oblio. Non ricordiamo; riscriviamo la memoria come riscriviamo la storia. Come si fa a ricordare la sete?»" In questo intenso passaggio Marker riflette sulla soggettività del ricordo, su come la soggettività dell'individuo renda il passato del tutto intimo e personale. Se il passato ci sfugge, i ricordi sono il nostro modo personale per trattenere il tempo con noi e riscriverlo. Filmare, per Marker, diventa il modo per creare delle immagini della memoria, ricordi di ricordi. Hayao Yamaneko, il video artista giapponese, ennesimo alter-ego markeriano, costruisce "La Zona" (nome che omaggia Andrej Tarkovskij) dove le immagini non sono nello spazio e nel tempo, muta il significato virandone il colore. Le immagini elettroniche così diventano quasi irriconoscibili rispetto all'originale e perdono di significato. Sono oltre il tempo, perché con il suo progetto Yamaneko/Marker le trasporta verso un non-luogo, proprio come faceva lo Stalker di Tarkovskij. Con "La Zona" paradossalmente la materia dell'immagine diventa sentimentale, il passato può essere modificato poiché spogliato del suo significato originale. Yamaneko rende l'immagine pura. Forse è questa la grande ossessione di Sans soleil: il cinema come unico strumento in grado di cambiare il passato attraverso l'immagine. Nel suo peregrinare nel labirinto del tempo e della memoria, Krasna/Marker arriva infine a San Francisco, nei luoghi di Vertigo, Ripercorre il tragitto del protagonista Scottie/James Stewart che segue Madeleine/Kim Novak e in un rimando continuo di memorie, pause, riflessioni, film nel film, rivive la vertigine del protagonista.

Ad ogni visione, Sans Soleil fa rivivere la medesima vertigine, è un’opera in cui ci si perde e ci si ritrova, si scoprono dettagli, illuminazioni, un saggio da leggere, ascoltare e guardare. Mai mi stancherò di guardarlo e di sentirlo, un’opera che mi ha insegnato a guardare in maniera diversa, che mi ha ossessionato e disorientato e che ha contribuito a farmi innamorare del cinema sempre di più. Nella sua struggente banalità.

Autore: Andreina Di Sanzo
Pubblicato il 08/08/2020
Francia 1983
Regia: Chris Marker
Interpreti: Florence Delay
Durata: 104 minuti

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