Speciale MUBI / La Jetée
Una deflagrazione di istanti: frammenti di memoria fotografica, bagliori di resistenza all’oblio contemporaneo
[Questo articolo fa parte di uno Speciale dedicato alla piattaforma di streaming on demand MUBI, un focus monografico composta da una galleria di recensioni contaminate da riflessioni teoriche, emotive, autobiografiche, per riflettere trasversalmente sul tema della cinefilia on demand e sul più generale rapporto che intessiamo oggi con le immagini. Il progetto è stato presentato e inquadrato nell'editoriale "Di MUBI e del nome del cinema", che potete trovare qui].
Un vettore pneumatico in uno spazio digitale. La direzione che punta verso il passato. Un passato monotono senza un punto di congiunzione in nessun futuro, un costante ed eterno passato che si riversa in un presente ondivago, azzerando il divenire. Nella parcellizzazione post-fordista socio-psicologica il passato è un tempo fluido, dalla forza lavoro sempre più flessibile al conflitto psicologico che attanaglia l’individuo contemporaneo sempre più scosso dal bipolarismo economico capitalista. Il rimedio diventa il ricordo, la memoria, anch’essa d’essenza nebulosa, ma capace di spasmi raggelanti, di frammenti d’attimi fotografici, parti infinitesimali di una narrazione condensati in un'alternanza foto-audiovisiva e recuperati per i visitatori del futuro. Visioni scelte, da riportare nel presente per resistere al vuoto nuclearizzato di una nuova era. Come per Davos Hanich è il sentimento - “documento” - della visione rivissuto in un’istantanea ad innescare il ricordo della donna e del molo; così si riversa in Mubi l’innesco della visione dell’utente del miglior contenuto emotivo nella selezione dei film dimenticati ma capaci di ridare respiro alla nostra storia d’affezioni cinematografiche. E’ nella caleidoscopìa astratta dell’on demand che il contenuto (il ricordo in e de La Jetée) viene ripreso (su richiesta) e offerto alle regole della visione contemporanea. E dove tutto riemerge, la visione, per affioramento, screma. Dalla nostra posizione onniveggente, dove il passato e il futuro si appiattiscono in un prolisso presente, senza alcuno iato di progresso dell’immaginario culturale, riversiamo verso il passato, verso La Jetée, verso la certezza del ricordo emozionale. Un altrove distante, uno spazio saturo di momenti già trascorsi, di fotografie già scattate, di sapori già conosciuti, dentro a film rivisti che possono ritornare alla visione come singhiozzi sentimentali. Tra le immagini di una geografia neurale sempre più interconnessa, nel mare magnum della memoria visivo-collettiva culturale, ricorsiva, riordinabile, ammaliante nel suo sfarzo algoritmico, il sapore della rimembranza proustiana passa per l’accessibilità. Questo portale si apre sui corridoi di codici binari dove le personalità autoriali si traducono in icone, macigni sul nulla, riemersi nella liquidità di un presente cross-device. Un tempio per immagini sacre, crepe dalle quali prova a riemergere la Storia; stiamo già nei territori neurali di Ballard (grande estimatore di Chris Marker), ma dove la mostra delle atrocità viene sostituita dall'esposizione del riemerso, quel luogo dove il frammento postmodernista trova una collocazione spazio-temporale dentro ad un recipiente di vetro sottovuoto, accessibile e trasparente.
Potremmo essere noi quell’umanità del futuro che ricerca nel passato un motivo di resistere e di esistere alla messa in scena della Storia. Spettatori oltre le stelle, marziani con lo sguardo al passato, abitanti di un futuro sconfinato, colti nell'impresa di galleggiare nel peso dei big data contents che sfiorano il limite dell’eternità digitale.
Potremmo essere noi, a tornare in vita (entità pulsanti nel magma della Storia) rivivendo, da protagonisti, quell’attimo fotografico indelebile, o reinterpretando quella selezionata scena di quel film specifico che non riusciamo a dimenticare, a destoricizzare. Dagli istanti passati in compagnia di Hélène Châtelain, rivissuti emotivamente tramite la nostra saudade cinematografica, allo zoo o al museo di storia naturale, o agli attimi su quel molo, la nostra memoria viene mossa in un gaze tour emotivo, sospinta nel passato per fuggire a quella particolare sensazione salmastra di vuoto che caratterizza il nostro presente. Protagonisti e testimoni all’umanità del domani del racconto di un’esistenza (e contestualizzando storicizzarla) in un presente sempre più onnicomprensivo, ricorsivo e infinito.
Un andirivieni pneumatico da un futuro impalpabile ad un immaginario sbriciolato, parcellizzato nella sicurezza della sua presenza e accessibilità. Cosa rimane nell’oggi de La Jetée? Quali residui rimangono nel cloud informativo del passaggio di una tempesta elettrica foto-audiovisiva che fa del tempo un “documento”? “…e in tutto questo un senso eccezionale dell’istante [..] la fotografia possiede una dimensione documentaria ineluttabile. Non duplica il tempo, come fa il film: lo sospende, lo frantuma, lo gela e nel far questo lo “documenta” (Raymond Bellour, in L’Entre-Images, La Difference, Parigi 1990). In un tempo così pienamente documentato, dove il realismo si confonde con il Reale, tutto il contenuto del tempo universale (e culturale) si solidifica dentro a dell'ambra digitalizzata. E’ nel terrore che si prova di fronte alla consapevolezza di un ricordo che si sta dissolvendo, nel brivido per il film che è accessibile in un tempo ben definito, nella soddisfazione della riscoperta della memoria riacquisita tramite la Videoteca digitale, che resistiamo e che La Jetée oggi esiste. Consapevoli che un domani quel ricordo\contenuto, emotivamente rivissuto, potrà cessare di esistere come nodo quantistico per condensarsi, nuovamente, in un cumulonembo attivo di questa grande nuvola digitale.
Oltremodo consapevoli che si può sempre tornare nostalgicamente lì, sul quel molo di Orly, pronti a fare il salto oltre la balaustra: soddisfatti dei nostri ricordi che ci perseguitano ora come lieti fantasmi.