Giulia

di Ciro De Caro

Opera terza di un autore italiano giovane e di talento, che dopo aver riletto codici e tracce della commedia italiana approda al suo film più personale, anticonformistico ritratto al femminile di uno scenario pandemico popolato di fantasmi.

Giulia di Ciro De Caro - recensione film

Terzo lungometraggio di Ciro De Caro, dopo l’exploit di Spaghetti Story e il bel Acqua di marzo, ingiustamente penalizzato da una circolazione striminzita, Giulia conferma il percorso di crescita del suo autore e il coraggio di dar vita a un ritratto femminile anomalo e affascinante, lontano dagli schemi narrativi del cinema italiano.

De Caro abbandona qui i modelli che pure aveva contaminato con personalità nelle opere precedenti, spaziando dalla commedia all’italiana classica a quella dei primi anni duemila, fatta di santimaradonismi che hanno sciacquato i panni nel Tevere. Così come si discosta dal racconto di formazione e dal ritratto generazionale di trentenni in crisi, riletti nella dolce malinconia del ritorno in provincia. Anzi, ciò che colpisce in Giulia è proprio il suo porsi frontalmente come un anti-romanzo di formazione, che non cerca e non vuole trovare rassicuranti quadrature del cerchio, risolvere conflitti o offrire soluzioni.  Scritto – ma forse sarebbe più corretto dire vissuto – dal regista assieme alla protagonista Rosa Palasciano, il film si mette in viaggio in una Roma lattiginosa e lenta, una città in cui gli echi della pandemia sono restituiti da gesti rituali svuotati di senso – le mascherine, i gel – ma soprattutto da quell’umanità lasciata ai margini che popola le immagini. Anziani privati del loro centro sociale, disoccupati e critici cinematografici (i disadattati per antonomasia, si sa…): Giulia si muove tra loro come in un racconto di fantasmi, con apparizioni improvvise e altrettanto repentini abbandoni, in cerca di altro o forse di niente.

In un panorama culturale e cinematografico sempre più polarizzato, fatto di bolle e racconti a tesi che costringono il pensiero e la visione, De Caro fa un passo indietro e si pone, rispetto alle sue stesse storie e ai personaggi, come puro testimone. Ritrova sì la sua famiglia cinematografica, nei volti abituali di Valerio Di Benedetto e Cristian Di Sante, ma lascia intravedere nella loro comicità romana un’inquietudine nuova: con la sua fisicità nervosa e sfuggente Giulia diventa allora un vero e proprio detonatore, che irrompe negli universi narrativi dei film precedenti ribaltandoli di segno, facendo virare repentinamente la commedia in un dramma sospeso.

Costituito di incontri fuggevoli, destinati a non avere seguito, di attese mai epifaniche, in cui la strana coppia Giulia-Ciavoni restituisce visivamente lo straniamento fisico ed emotivo di chi è costantemente fuori norma, il film racconta soprattutto il rapporto isterico di quest’epoca con il tempo: quello che ci viene imposto di risparmiare e che diventa poi, inutilmente, tutto tempo scrollato; quello delle imposizioni sociali – tempo di fare un figlio, di fare carriera, di mettere la testa a posto.
Giulia è un racconto di fantasmi, dicevamo. Fantasmi che si oppongono a questo impiego del proprio tempo: anziani le cui giornate scorrono identiche, vittime di un lutto che non sanno più rientrare nel tempo-sociale, cinefili che vivono nel tempo cinematografico, opposto a quello, utilitaristico, delle serie tv.

Con lo spirito anticonformista del Rohmer del Raggio verde – e lo stesso coraggio di mettere in scena un’eroina respingente – Giulia è davvero un piccolo grido di libertà.
Funiculì funiculà.

Autore: Fabiana Proietti
Pubblicato il 25/09/2021
Italia 2021
Regia: Ciro De Caro
Durata: 109 minuti

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