Reflection
Dal regista del magnifico “Atlantis”, un altro film dal contesto bellico, di macerie e reduci traumatizzati, in cui la catarsi passa per l’accettazione del lutto.
A due anni da Atlantis – vincitore del Premio Orizzonti per il Miglior Film a Venezia76 – Valentyn Vasyanovych volge, ancora una volta, lo sguardo al Donbass in cui da sette anni imperversa una guerra. Presentato nel Concorso principale, Reflection, invece di immaginare, come nell’opera precedente, un futuro prossimo (2025) distopico, in cui gli scontri armati hanno lasciato solo macerie e reduci traumatizzati, incapaci di tornare alla vita civile, si concentra sul presente, la contrapposizione tra la natura inumana del conflitto, la violenza, il terrore e la vita medio borghese che continua a pochi chilometri dal teatro di guerra.
Serhiy, un chirurgo ucraino che lavora in un ospedale militare, viene catturato dalle milizie russe, che decidono di tenerlo in vita per le sue competenze in campo medico. L'uomo è costretto a osservare impotente le torture compiute e a controllare lo stato di salute dei prigionieri. Tra questi c’è anche Andrii, nuovo compagno dell’ex moglie a cui anche sua figlia è molto affezionata. Corrompendo un soldato russo, Serhiy riesce a dare sepoltura al corpo dell’amico, evitando che questo venga smaltito nel forno crematorio come gli altri. Ritornando a Kiev per uno scambio di prigionieri, l’uomo cercherà di recuperare la salma di Andrii così come di accompagnare e condividere con la figlia e l’ex moglie l’elaborazione del lutto. «Il corpo è una prigione», dice Serhiy, facendo riferimento al samsara della filosofia buddhista. Una volta concluso il ciclo vitale, l’anima abbandona qualunque attaccamento terreno. Non è possibile riportare indietro un’anima che ha abbandonato il corpo.
Reflection procede per tableaux vivant, lunghi piani sequenza, spesso con inquadratura fissa, al cui interno ritroviamo molte volte una superficie riflettente, un vetro di una sala operatoria, di un campo da paintball, il parabrezza di una macchina, la finestra di un appartamento. Barriere, divisori che apparentemente separano gli ambienti fornendo una protezione. La guerra è una realtà distante, i personaggi, così come gli spettatori, sembrano protetti da un vetro infrangibile, uno spazio altro che neanche la macchina da presa può attraversare. Tuttavia, queste superfici possono anche generare un riflesso e distorcere la percezione. Il segno sul vetro della finestra provocato dallo schianto di un piccione, seppur difficile da cancellare dopo vari tentativi, potrebbe essere completamente portato via dalla pioggia battente. L’immagine cinematografica imprime e getta luce su quella traccia, su quella realtà che si vuole molte volte cancellare, confinare, dallo scorrere del tempo.