Cobain - Montage of Heck

Splendido tributo, intimo e creativo, a un artista eccezionale, il film di Brett Morgen è anche il confronto finale con una morte che da vent'anni riecheggia nel nostro immaginario culturale

L’assenza è l’elemento peculiare del fotogramma. Il cinema racconta persone che prima erano nell’inquadratura e poi se ne sono andate: è una perdita congenita che assegna alla possibilità di vedere ciò che è stato il valore di un disperato attaccamento all’immagine. Il 5 aprile di ventun’anni fa Kurt Cobain si è sparato alla testa, sottraendosi definitivamente allo sguardo del mondo. Sono rimaste solo vecchie immagini, fotografie e filmati, che per moltissimi fan descrivono un’imprescindibile icona con un’influenza unica per la cultura musicale contemporanea; per un numero più ristretto di persone però, rappresentano semplicemente un figlio, un amico, un marito. E un padre.

Cobain - Montage of Heck, che esce nelle sale italiane il 28 e il 29 Aprile, non ha alcun intenzione di documentare il fenomeno musicale dei Nirvana e la relativa esplosione della scena grunge agli inizi degli anni Novanta. Il regista Brett Morgen ha sviluppato il film, su richiesta della vedova di Kurt, Courtney Love, e della figlia Frances Bean, produttrice del film, come un viaggio all’interno della vita e della mente dell’individuo complesso e profondo quale era Cobain. Riportarlo sullo schermo significa, ben prima di fare affidamento sulle testimonianze di amici e parenti – nel cui gruppo spicca l’assenza del ex batterista dei Nirvana Dave Grohl, a quanto pare impegnato nella registrazione di un album durante la produzione del film – restituirne il volto, la voce, le espressioni. L’irresistibile cifra vincente di Cobain - Montage of Heck è proprio il mix di filmini domestici e registrazioni audio amatoriali, il tono assolutamente caldo e personale presente nelle immagini sgranate di un Kurt bambino felice e iperattivo, o di Kurt adulto che assieme a una Courtney incinta salta e ride di fronte alla telecamera, in un atmosfera talmente intima da sottolineare che il ragazzo che se ne è andato via era, prima che una rockstar congelata nella propria aura sacrale, una persona inaspettatamente divertente, buffa...autentica. Qualcuno di cui sentire la mancanza.

Brett Morgen ha l’intelligenza di strutturare il film come un racconto principalmente in prima persona: l’Io di Kurt si mantiene al centro della storia grazie alla genesi di inserti animati col peculiare stile espressionista dei suoi disegni e dei dipinti, mostrando appunti presi dai suoi quaderni e perfino animando alcune sequenze con l’uso della stessa voce di Cobain: la sensazione è quella di perdersi dentro una caotica esplosione di immagini, pensieri e parole. La prima parte di Cobain - Montage of Heck segue l’infanzia gioiosa di Kurt nella depressa cittadina di Aberdeen, il “leggendario divorzio” dei genitori avvenuto quando aveva sette anni e la conseguente difficile crescita sballottato da una casa all’altra, rabbioso emarginato costretto dentro un ambiente conformista e culturalmente povero con solo la musica, l’arte e la droga quali uniche vie di uscita. Bisogna qui sottolineare, parlando della tossicodipendenza del musicista, che pur creando un rapporto empatico fra lo spettatore e Cobain, Morgen evita il terribile errore della maggior parte dei documentari biografici post-mortem, ovvero la sacralizzazione del personaggio; questo forse anche grazie a una certa schiettezza narrativa, corroborata in primis dalla congenita sincerità di Courtney Love.

Ciò che eleva su tutt’altro piano il film è l’arrivo sullo schermo, dopo le prime immagini del piccolo Kurt, della sua giovinezza e del successo dei Nirvana, di un’altra bambina minuscola: Frances Bean, nata nel 1992, ripetutamente ripresa con la videocamera dai felici genitori – ancor più felici dopo che era temporaneamente stata loro tolta la custodia della piccola a causa delle illazioni, presenti in un articolo di Vanity Fair, su una Courtney drogata durante la gravidanza – mentre fa il bagno, ride, scruta curiosa l’obiettivo. Il livello di intimità di questi filmati rischierebbe di far urlare al ricatto emotivo, se la dedizione nel trasmettere l’esperienza di Kurt come genitore non suggerisse l’idea che in realtà il primo vero spettatore di Cobain - Montage of Heck, il più importante, senza il cui consenso non si sarebbe mai fatto il film, è proprio la figlia, che può riscoprire un padre perduto. Ciò che abbiamo perso noi testimoni involontari degli anni Novanta il giorno in cui si è ucciso Kurt Cobain ed è finita un’epoca, non è niente in confronto a quello di cui è stata privata Frances Bean. L’immagine diviene – come nel nostrano bellissimo Un’ora sola ti vorrei di Alina Marazzi – l’unico elemento rimasto a riempire una memoria priva di ricordi. Mai come con questo film la scomparsa di Kurt Cobain aveva allora potuto assurgere a perdita universale e personale allo stesso tempo: Cobain - Montage of Heck obbedisce al compito di elaborare un lutto generazionale mai veramente risolto con una catarsi definitiva, dolorosa ma necessaria, rivelandosi il perfetto commiato finale a un individuo straordinario che forse, da oggi in poi, dopo un ultimo sguardo, potremo finalmente lasciar andare via.

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 27/04/2015

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