American Vandal

di Dan Perrault Tony Yacenda

Il punto di non ritorno della comicità post-user generated content, due stagioni brillanti che aggiornano ai tempi del reportage criminale televisivo della nostra epoca tutti gli stilemi della commedia collegiale.

American Vandal - recensione serie tv netflix

Quando abbiamo deciso che i big data facessero ridere? Se algoritmi, traffici numerici e codici binari reggono la comunicazione e i mercati contemporanei, allora è probabilmente giunto il momento di provare a capire se con le infografiche si possa fare della comicità (vedi Hasan Minhaj). C’è un istante spartiacque in anni recenti, e sono le straordinarie animazioni che chiudono I poliziotti di riserva, la parodia di Adam McKay/Will Ferrell del 2010, tre minuti di torte e istogrammi su Maggie’s Farm versione RATM per spiegare il funzionamento di uno “schema Ponzi”, la truffa finanziaria su cui il film imbastisce la propria demenziale vicenda. Da qui a La grande scommessa, sempre Adam McKay, il passaggio  è breve: l’opera del 2015 è ad oggi il tentativo più ambizioso da parte di un gruppo di autori e interpreti provenienti dal mondo della comicità di costruire una narrazione grottesca a partire da un utilizzo letterale ed estensivo dei dati, delle procedure tecniche, delle statistiche, snocciolate fino allo sfinimento dai personaggi sullo schermo quasi fossimo in una di quelle performance del teatro d’avanguardia che cercano di rendere narrativo un manuale di economia.
Affrontare, con tutta la serietà politica di cui è capace solo la commedia, lo svilimento della narrazione dei nostri tempi a mero traffico di codice è un’operazione lucidissima che mira a rovesciare il senso del flusso costante di informazioni in cui siamo immersi, per incepparlo in maniera definitiva. Un po’ come lavorare su quel canone che i nostri cervelli sono oramai abituati a registrare di sottofondo come l’approccio più diffuso al linguaggio documentaristico in tv. Ovvero, il reportage morboso-sensazionalistico, condito da contrite rievocazioni dei protagonisti e ricostruzioni pittoresche, che impera sui canali tematici spesso d’importazione, nonché in certi vicoli bui e pruriginosi di Netflix, tra Kitty Genovese, Amanda Knox e JonBenet Ramsey. È da qui che parte il geniale sabotaggio ordito da American Vandal, la trollata seriale di Dan Perrault e Tony Yacenda, che aggiorna ai tempi del reportage criminale televisivo della nostra epoca tutti gli stilemi della commedia collegiale più sboccata e scorretta.

Due adolescenti d’America come i sedicenti filmmaker Peter Maldonado e Sam Ecklund, accreditati come autori del mockumentary, padroneggiano il linguaggio delle inchieste crime catodiche davvero come struttura incoscientemente assimilata dal loro immaginario e dalle loro sinapsi, in quanto esposti ad essa praticamente dalla nascita. Il salto concettuale di applicarlo alla propria indagine su chi abbia disegnato 27 enormi peni con lo spray sulle automobili degli insegnanti, deturpate nel parcheggio della loro high school, sembra per Maldonado e Ecklund allora del tutto naturale. L’intuizione decisiva è che oggi chiunque abbia una connessione ad internet è in grado di poter accedere ed analizzare i dati, le prove, i POV, le tracce sparse tra le miriadi di social, chat, mail e messaggi che lasciamo in rete. American Vandal si frammenta così in una selva di schermi, screenshot, stories evanescenti e video privati, alla ricerca del proprio colpevole: un superamento della modalità del cosiddetto desktop thriller alla Profile, Searching, Unfriended.

La prima stagione della serie, datata 2017, è il punto di non ritorno definitivo per la comicità post-user generated content. Se è indubbio uno stato di crisi per i campioni della risata volgare USA (a quando risale l’ultima grande commedia che vi è capitato di vedere?), American Vandal riazzera il campo attraversando indenne le stazioni storiche della via crucis collegiale (il bullo, la cheer leader, i prof bastardi, gli outsider, gli sfigati, la festa alcolica, lo sverginamento ecc) ma reinquadrandole con i mezzi della comicità veicolata e prodotta dal web. Si tratta di un’indicazione forte quanto lo fu SuXbad di Mottola/Apatow/Rogen per la generazione precedente.

La seconda, recente stagione del prodotto Netflix alza il tiro, integrando il successo avuto dalla prima serie sul portale come elemento interno alla narrazione, e andando a toccare il nervo scoperto delle stragi e degli attentati omicidi nelle scuole USA, sostituendo i fucili di Colombine con il lassativo. Confermando così il tritacarne della commedia l’apparato digestivo più urgente d’America. Il risultato è sicuramente meno incendiario del prototipo, ma riesce nel prodigio di ricongiungersi nel finale con il primo degli esperimenti che insegnò alla televisione contemporanea come parlare il linguaggio dei peer network a partire dalle modalità dei video tutorial su youtube. Stiamo parlando di Catfish, la trasmissione di Mtv creata da Nev Schulman e Max Joseph nel 2012, e basata sulle ricerche online per scoprire i profili falsi sui social. American Vandal è a conti fatti l’aggiornamento di quel format all’epoca dello streaming, ma sfrontato e disturbante come ogni teen movie che si rispetti, da Landis a The End of the F***ing World.

Autore: Sergio Sozzo
Pubblicato il 03/12/2018
USA 2017-2018
Durata: 2 stagioni da 16 episodi

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