La caduta della casa degli Usher
Con la sua ultima serie Netflix, Flanagan compie un magistrale lavoro di adattamento e rielaborazione, confermandosi come il narratore horror (e non) più influente di questa generazione.
Chi non si è scoperto, cento volte, nell’atto di commettere un’azione spregevole o stolta, a ciò indotto dalla sola ragione che, come ben sapeva, non doveva farla? Malgrado il nostro saggio avviso non abbiamo noi forse una perpetua inclinazione a violare la Legge, solo perché la conosciamo come tale? Fu questo spirito di perversità, lo
affermo, a condurmi alla catastrofe.
Edgar Allan Poe, Il gatto nero
Una cieca e inesauribile perversità è il tratto comune ai protagonisti di La caduta della casa degli Usher (The Fall of the House of Usher), l’ultima serie scritta e diretta da Mike Flanagan e distribuita su Netflix dal 12 ottobre. A partire dall’opera di Edgar Allan Poe, Flanagan riflette sulla crudeltà del mondo odierno, costruendo in modo sapiente una narrazione incentrata su una famiglia abietta, macchiatasi di ogni sorta di nefandezze e per questo artefice della sua stessa rovina. Avidi e anaffettivi, Roderick e Madeline Usher hanno costruito la fortuna della loro casa farmaceutica sulla vendita indiscriminata di un antidolorifico che provoca gravi e letali effetti collaterali. La buona sorte che da sempre ha accompagnato gli Usher li abbandona improvvisamente quando i sei figli di Roderick, altrettanto meschini, iniziano a morire in bizzarre circostanze accidentali.
Come è facilmente intuibile da queste poche righe, la rielaborazione dell’omonimo racconto di Poe non si esaurisce in un suo mero aggiornamento in chiave contemporanea ma passa, come spesso avviene nel cinema di Flanagan, attraverso un meticoloso lavoro di riscrittura. La caduta della casa degli Usher fornisce più che altro al regista la suggestione di base per un adattamento dell’opera di Poe nel suo complesso. Se in The Haunting of Bly Manor (2020) la brevità e compiutezza del materiale originale, ovvero Giro di vite di Henry James, hanno probabilmente influito sulla riuscita generale della serie (penalizzata anche dall’assenza della regia e della scrittura di Flanagan in quasi tutti gli episodi), in questo caso la possibilità di spaziare tra fonti molteplici ha permesso al regista di manifestare liberamente la ricchezza del suo immaginario e delle sue risorse espressive.
È dunque l’intero corpus del poeta di Boston a offrire i presupposti e l’imbastitura ideale per la serie: alcuni tra i più celebri racconti di Poe, come Il gatto nero e I delitti della Rue Morgue, insieme alla poesia Il corvo (omaggiata nel primo e nell’ultimo episodio) forniscono titolo e spunti narrativi a ciascuno degli otto episodi. Tuttavia, la rielaborazione di Poe non è circoscritta all’utilizzo di citazioni dirette ma si traduce in un sistema di rimandi e omaggi estremamente elaborato che, nonostante la sua complessità, non intacca mai la linearità e coerenza del racconto. I richiami sorprendono per la loro numerosità, tanto che sarebbe difficile quantificarli tutti: spaziano dai nomi di tutti i personaggi (Auguste Dupin, Annabel Lee, Tamerlane, Arthur Gordon Pym, per citarne alcuni) fino ad alcune svolte e dettagli narrativi, come lo scontro con il proprio doppio da William Wilson, i denti strappati in Berenice, il crudele omicidio al centro di Il barile di Amontillado o il motivo, così ricorrente in Poe, della sepoltura accidentale di una persona ancora in vita.
Il risultato è uno straordinario universo-Poe che, se da un lato appaga chi già conosce e ama lo scrittore, dall’altro è reso fruibile anche per chi non si sia mai avvicinato alla sua opera, proprio grazie alla coesione e alla solidità del plot. Sostenuto da questa rete di continui richiami, il racconto seriale di Flanagan si sviluppa intorno ad alcuni temi portanti della poetica di Poe. Così, l’angoscia causata da una fine sempre più vicina e ineluttabile, un assordante senso di colpa dovuto agli atti di perversità commessi e la loro conseguente espiazione scandiscono, inquietanti come il rintocco della pendola che preannuncia l’arrivo della Morte Rossa, l’atto finale della famiglia Usher. Per queste ragioni, La caduta della casa degli Usher risulta molto più vicina all’opera di Poe di quanto The Haunting of Hill House lo fosse al gotico femminile di Shirley Jackson e, soprattutto, riesce a restituire potentemente l’immaginario dello scrittore americano più dei numerosi, e spesso deludenti, biopic dichiaratamente romanzati, come il recente The Pale Blue Eye (S. Cooper, 2022).
Mike Flanagan è dunque riuscito là dove i più avrebbero fallito, ovvero nell’impresa non facile di sorprendere e inquietare il pubblico nonostante la notorietà di racconti come Il cuore rivelatore, qui reso magistralmente grazie a una costruzione martellante della suspense e a un climax che culmina in agghiaccianti scene body horror. Attraverso codici espressivi attuali e la cura formale che da sempre caratterizza il suo cinema, Flanagan riproduce in maniera affatto scontata ciò che di solito si prova quando si leggono i racconti di Poe per la prima volta: incredulità, raccapriccio e la continua, angosciante sensazione di trasalire. La serie incarna alla perfezione le brutture della società in cui viviamo, sfatando la concezione favolistica del progresso e mostrando punti di contatto inaspettati tra le scelleratezze del mondo di oggi e quelle della prima metà dell’Ottocento.
I temi trattati sono, d’altra parte, estremamente attuali, basti pensare al già accennato riferimento alla crisi degli oppioidi negli USA e al ruolo giocato dalla famiglia Sackler nel commercio dell’ossicodone (al centro di altre due serie recenti, Dopesick, del 2021 e Painkiller, del 2023). D’altronde, cosa potrebbe descrivere meglio la contemporaneità se non una spasmodica aspirazione al denaro e alla fama a ogni costo, e l’indifferenza assoluta verso le ricadute tragiche che questa bramosia ha per le nuove generazioni?
Se da un punto di vista formale tutta la serie si mantiene coerente fino al finale, alcuni episodi spiccano per la potenza delle immagini: La maschera della morte rossa e il preludio orgiastico al macabro finale sulle note di “Closer” dei Nine Inch Nails; l’estetizzante e crudele lotta contro gli specchi in Lo scarabeo d’oro; l’originale messa in scena della trappola mortale in Il pozzo e il pendolo, solo per citarne alcuni. Con i suoi attori feticcio, la sua incredibile capacità di rimodellare con naturalezza capolavori assoluti della letteratura, e con un immaginario che sarebbe eufemistico definire disturbante, Mike Flanagan si riconferma come il narratore horror (e non) più influente di questa generazione e fa de La caduta della casa degli Usher uno dei suoi lavori migliori.