Cam

di Daniel Goldhaber

Netflix e Blumhouse insieme per un thriller depalmiano ai tempi delle camgirl, tra voyeurismo e perdita di identità

cam - recensione film goldhaber

Bastano i primi minuti di Cam, tra screen view di chat room e ragazze (apparentemente) pronte a tutto, per dimostrarci come l'ultima variazione Netflix (e Blumhouse) sul tema di thriller e tecnologia non sia esattamente quello che ci saremmo potuti aspettare.
Perché, proprio alla maniera della sua protagonista, l'opera prima dello statunitense Daniel Goldhaber gioca con il suo ruolo, si diverte a frustrare le nostre aspettative di spettatori/clienti, facendoci credere, per quei pochi minuti, di trovarci davanti all'ennesimo horror di matrice tecnologica – magari intriso di trovate snuff o splatter – e non, piuttosto, immersi in una storia dove è proprio l'identità (o la sua perdita) a diventare l'aspetto più problematico e cruciale dell'intera vicenda.

Ne sa qualcosa Alice (aka Lola, la Madeline Brewer già vista in Black Mirror e Handmaid's Tale), che a quel mondo fatto di ammiratori (paganti) e camere rosa shocking dedica tutta sé stessa, covando il sogno di scalare il ranking delle migliori camgirl di internet. Questo almeno fino a quando il suo posto non viene preso da una sua copia esatta, alter ego identico eppure molto più bravo di lei, un'immagine svincolata dal peso fisico di un corpo, dalle sue paure, dalle sue inibizioni e, per questo, davvero capace di tutto.

È sempre una questione di sguardo, il cinema, soprattutto oggi, quando si confronta con le nuove tecnologie, uno sguardo spesso negato, contraffatto, ingannato, alla ricerca di un'immagine sempre più difficile da inquadrare. Non è un caso, del resto, che sia proprio l'immagine, con tutti i risvolti e le problematiche che la sua riproduzione tecnica comporta, la principale antagonista di un film come Cam, voyeuristico gioco di specchi dove l'identità si sdoppia, si scompone in mille frammenti digitali, e la discesa nell'orrore si svincola da esempi recenti come Unfriended, Searching o Friend Request (incubi in cui la tecnologia è soprattutto pretesto, motore dell'azione), riesumando, ai tempi di Black Mirror, il tema di un doppio declinato in un presente che non ha bisogno di trovate distopiche e futuristiche per dare luogo ai suoi incubi.

Ecco allora, in una degenerazione depalmiana che pare guardare allo Showgirls di Paul Verhoeven e, soprattutto, a Perfect Blue di Satoshi Kon (con qualche deriva onirica che occhieggia a Twin Peaks e al Refn di Neon Demon), che l'immagine che Alice trova "Attraverso lo specchio” si sdoppia, prende il controllo di vite e detta regole, riscrivendo con toni pop e colorati la storia di una dissociazione – quella tra reale e digitale – ormai inevitabile.

Eppure non sono facili moralismi o apologhi apocalittici quelli di cui Cam, scritto dalla ex camgirl Isa Mazzei, va in cerca, forte di una storia che è, in definitiva, un viaggio di formazione dei nostri tempi, l'acquisita consapevolezza che, nel bene e nel male, è con l'immagine (la propria, prima di tutto) che ci si deve confrontare, imparando, riappropriandosene, a padroneggiarla, cercando (attraverso la carnalità e il sangue) quel briciolo di umanità e autenticità che ancora, tra schermi, chat e videocamere, il suo riflesso si porta appresso. Anche al di là dello schermo.

 

 

 

Autore: Mattia Caruso
Pubblicato il 17/01/2019
USA 2018
Durata: 94 minuti

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