Danse Macabre
Il nuovo horror italiano sforna un'altra storia di fantasmi ed esorcisti
Tra le recenti uscite in DVD c’è una ghost story ambientata sul litorale ligure. Si tratta del lungo d’esordio di Ildo Brizi, Danse Macabre. La danza macabra del titolo è il ballo delle anime imprigionate sulla pellicola. Secondo i nativi americani, e molte altre popolazioni in giro per il mondo, la fotografia era uno strumento in grado di rubare la vita. Ampliando il concetto se ne deduceva che il cinema altro non fosse se non, come affermato da Jean Cocteau, la morte a lavoro ventiquattro fotogrammi al secondo. In conformità al principio mors tua vita mea, per ogni anima presa ce n’è un’altra che va rafforzandosi.
Danse Macabre comincia con un prologo in bianco e nero ambientato nel 1969: il regista Agenore Venturi accoltella una ragazza in mezzo al bosco mentre il suo collega, seduto al volante dell’auto con cui sono arrivati, filma il tutto. Dopo i titoli di testa, l’azione si sposta nel 2014 e vede la protagonista Margherita, interpretata dalla brava Guia Zapponi, intenta a elaborare il recente lutto della nonna mentre intorno a lei si manifestano inquietanti presenze che la indirizzano verso la ricerca di una verità oscura. Al dodicesimo minuto, senza un apparente collegamento con la linearità dalla precedente narrazione, Margherita viene trascinata in una dimensione onirica dove lo sguardo si fa visione, nell’accezione più magica del termine, e la rappresentazione attinge splendidamente dall’iconografia orrorifica italiana degli anni Ottanta. L’incubo dura ben sette minuti e mezzo, sebbene impercettibili, e termina con il risveglio di Margherita nel proprio letto. Da qui in poi il racconto recupera un taglio realistico, quasi neutro, che poco giova a una storia di ectoplasmi rappresentati senza alcuna accortezza fotografica e facendo affidamento unicamente sul make-up. I fantasmi in questione sono in grado di riflettersi negli specchi e producono ombre sui volti dei protagonisti, dimostrando una materialità che poco si confà al concetto di apparizione. Tra l’altro è proprio sull’uso letterale del termine, il puro apparire senza interazioni e mantenendo le distanze dai protagonisti, che pesa maggiormente la responsabilità di una messa in scena inefficiente sul piano emotivo.
Riguardo al concatenarsi degli eventi, l’indagine della protagonista evolve attraverso costanti dialoghi. Ossessionata dalle proprie allucinazioni, Margherita non si rivolge a un medico bensì a Don Massimiliano. Il prete di fiducia la erudisce con un racconto all’interno del quale si inserisce una seconda testimonianza, che visivamente si traduce in un flashback nel flashback. Dalla somma delle confessioni emerge la storia di un esorcismo praticato con scarso successo da Padre Claudio, mentore di Don Massimiliano, sul regista Venturi. La digressione di un quarto d’ora non aggiunge di fatto informazioni utili per Margherita ma diventa un buon motivo per crocifiggere mortalmente il sacerdote in una scena che è la riprova dello stretto legame tra religioni e narrativa horror. Margherita procede nel dipanamento della matassa attraverso lunghe conversazioni e una passeggiata di diciassette minuti e mezzo all’interno di un ospedale psichiatrico che la condurranno infine nella dimora della maligna Julia Ivaldi, interpretata da Julia Ivaldi.
Di certo l’eccessiva verbosità della sceneggiatura, a firma dello stesso regista e dell’effettista Davide Riccardi, non è funzionale all’intrattenimento. Mentre la fotografia di Michele Vindimian, sebbene regali di tanto in tanto inquadrature interessanti, rimane spesso eccessivamente pulita per un racconto dell’orrore. Eppure c’è stata una manciata di minuti nella prima parte di Danse Macabre in cui la troupe ha dimostrato di sapere come tradurre in immagini un incubo. Rimane un mistero perché si sia cercato di razionalizzare una storia che col reale non ha nulla da spartire.