Dolcezza Extrema

Genovese sceglie il trash per ribellarsi al culto di una bellezza sterile

Libertà, povertà, anarchia! Sembra essere questo il motto di Alberto Genovese, artefice di una delle opere più pazze degli ultimi tempi. Dolcezza Extrema è un film che sfugge a una facile classificazione. È innanzitutto una space opera per l’ambientazione, un film d’animazione per la realizzazione, un trash per scelta, una commedia per indole, un musical per intermezzi, avanguardia per coraggio. Dolcezza Extrema è un film unico e per tale motivo deve essere salvaguardato, prima ancora di approdare nella sfera dei gusti personali.

Dolcezza Extrema è la nave cargo spaziale del capitano Pixws, un tempo celebre rockstar pirata, ora asservito a Re Grigorio e al suo impero. L’astronave di Pixws deve attraversare la galassia per recuperare un carico di docce abbronzanti da consegnare in tutti gli angoli del regno, dove la vita è resa possibile proprio dalle radiazioni. Mentre il resto della popolazione vive nel culto della bellezza fisica e ha debellato ogni forma di malattia, la frustrazione di un lavoro parastatale spinge Pixws in un vortice di droghe in grado di mutare il senso del viaggio. L’ammutinamento resta l’ultima occasione per ribellarsi a un sistema dove l’esteriorità e l’omologazione sono stati innalzati a fede.

Da tale sunto è palese che la storia non si limita a intrattenere, ovvero i passaggi narrativi non sono stabiliti in base a ciò che è più figo, regola adottata dalla stragrande maggioranza dei registi di serie B, C e Z. Anzi, a Genovese non importa nulla di ciò che è bello, trovando più interesse nel brutto e rimanendo coerente al tema trattato. A tal proposito va ricordato che la ricerca dell’antiestetico non è meno impegnativa di quella opposta e per tale motivo va ugualmente rispettata. A ribadire suddetta scelta, in un film che fonde insieme animazione digitale e marionette in stile Muppet show fa capolino un solo volto umano, quello di Eddy Endolf all’anagrafe Marco Antonio Andolfi.

Immagine rimossa.

Per gli amanti del trash l’autore-attore di La croce dalle sette pietre non ha bisogno di presentazione: il lupo mannaro che un tempo sfidò la camorra veste ora i panni dell’imperatore intergalattico e lo fa ottimamente. Gli altri personaggi sono stati creati partendo da un altro genere di trash, quello reale. L’immondizia, per intenderci. Calzini, pantofole, tappi di bottiglia, spazzoloni, tubi di plastica e simili hanno generato il capitano Pixws e la sua ciurma. Tanto per sottolineare nuovamente che la ricerca del brutto, quando portata avanti con serietà, non è un escamotage per semplificare e risparmiare, basti sapere che la realizzazione di Dolcezza Extrema è durata quattro anni.

Se c’è una critica che si può muovere al film di Genovese è la difficoltà nel seguire l’evoluzione della storia. In questo Dolcezza Extrema assomiglia più a Nostra Signora dei Turchi che a Star Wars. La trama ben comprensibile se messa per iscritto richiede uno sforzo d’attenzione maggiore durante la fruizione del film che preferisce lasciare spazio soprattutto alla visionarietà delle immagini. La cripticità della sceneggiatura, a firma di Massimo Vavassori, diventa più esplicita nei rimandi alla contemporaneità che vanno dal Divino Otelma a Silvio Berlusconi. Iconograficamente parlando, le fonti d’ispirazione e le citazioni si sprecano, ruotando principalmente intorno agli anni Ottanta di Meet the Feebles e Killer Klowns from Outer Space. Genovese come il suo capitano Pixws vive nel ricordo di un glorioso passato. Non ci è dato sapere se anch’egli abbia trovato nelle droghe il coraggio di dichiarare guerra a un’estetica anestetica e colonialista ma il suo ammutinamento all’interno del cinema di genere italiano diverrà leggenda nell’immaginario del pubblico avvenire.

Autore: Mattia De Pascali
Pubblicato il 02/11/2015

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