Halloween 4 - Il ritorno di Michael Myers
L'Uomo Nero torna in un quarto capitolo che fa della propria mitologia il punto forte di un incubo seriale destinato a durare negli anni a venire.
Nessuno può uccidere l'Ombra della Strega. Così dicevano i bambini di Haddonfield nel lontano 1978, prima che la sua più tremenda incarnazione, dopo aver fatto strage di adolescenti nelle vie di quella tranquilla cittadina dell'Illinois, venisse finalmente sconfitta. Ma, si sa, una volta che il mito attecchisce, difficilmente basta qualche proiettile o esplosione per toglierlo definitivamente di mezzo.
Era allora solo questione di tempo prima che Michael Myers – dopo la sua apparente morte in Halloween II e la parentesi apocrifa di Halloween III – tornasse, vivo e vegeto, sul luogo del delitto, riesumando, a distanza di dieci anni, un passato di sangue e paura mai del tutto sepolto. Siamo ad Halloween 4 – Il ritorno di Michael Myers.
Pare un'attesa alimentata ad arte quella del quarto capitolo della saga slasher creata da John Carpenter e Debra Hill, un'attesa di cui il Male ha approfittato per arricchirsi, mano a mano, delle suggestioni dei film precedenti, segnando un nuovo passo nell'evoluzione di una saga potenzialmente infinita. È così che, dopo la forza teorica di un capostipite inarrivabile, i risvolti di un sequel capace di gettare le basi di una nuova mitologia e le derive orrorifiche di un terzo episodio desideroso di creare un vero e proprio universo a sé stante, il film diretto dall'anonimo Dwight H. Little guarda alle origini del filone ma, allo stesso tempo, a una tendenza seriale divenuta in quegli anni la prassi per prodotti di questo tipo.
Sembrano, d'altronde, proprio questa mitologia e questo senso del soprannaturale, ereditati dagli episodi precedenti, a permeare un prodotto come Halloween 4, che, se da una parte riprende – dall'inquietudine scaturita dai suoi sobborghi, fino al senso d'assedio permanente di un Male incombente e assoluto – la formula del capostipite, dall'altra porta avanti quella stravolta e degenerata epopea famigliare fatta di legami di sangue e predestinazione già presente dal secondo capitolo della saga, ma qui arricchita di risvolti oscuri e (im)prevedibili. Ecco allora, dopo le rivelazioni e gli stravolgimenti di Halloween 2, entrare in scena la piccola e tormentata Jamie (Danielle Harris), figlia di Laurie (morta in un incidente stradale), nipote dello stesso Michael e, quindi, nuovo obiettivo della follia omicida di quest'ultimo.
Bastano in fondo queste premesse a tracciare uno schema narrativo che non si discosta dal dittico originario, con l'assassino intento a raggiungere il proprio scopo uccidendo brutalmente chiunque gli si pari davanti e le vittime loro malgrado protagoniste di una caccia continua, dove il mostro acquista sempre più i connotati incorporei della malattia (ereditaria) e la salvezza diviene una possibilità sempre più vaga e indefinita.
E se, salvo le ambientazioni e i suoi personaggi ricorrenti (il Dottor Loomis di Donald Pleasence, quasi indistruttibile quanto la sua nemesi), poco o nulla resta dell'apporto stilistico e teorico del primo film, di quella sua dialettica tra campo e fuori campo e di quelle sue soggettive perturbanti, qui ridotte a vuote strizzate d'occhio ad uso e consumo dei fan (la soggettiva finale ricalcata, con tanto di maschera, su quella dell'incipit del film di Carpenter), poco importa. Il film di Little, pur restando uno slasher stranamente sottotono per gli standard del genere (al punto che alcune scene aggiuntive di violenza verranno girate ad hoc al termine delle riprese), trova la formula vincente per perpetuare il suo incubo seriale, rilanciando, ancora una volta, una saga capace di fare tesoro delle sue premesse (narrative) e nutrendo una mitologia in grado di rinnovarsi costantemente negli anni a venire.
L'Ombra della Strega, dopo questo capitolo, è più viva che mai.