Halloween 6 – La maledizione di Michael Myers
Il sesto episodio della saga è un film sul “natural born killer”, sulla mitologia di Myers più che su Myers stesso.
Il 19 ottobre la redazione di Coming Soon si chiedeva se Michael Myers fosse il serial killer più iconico del cinema horror, accompagnando la presentazione del prossimo sequel di Halloween con un video “top 5” in cui si alternavano inquadrature di Leatherface in Non aprite quella porta, di Chucky in La bambola assassina, Jason in Venerdì 13, Freddy Krueger in Nightmare.
Sebbene classifiche come questa siano un esercizio fine a se stesso, restano un utile parametro per valutare la capacità di un film o di un personaggio di incistarsi nell’immaginario collettivo, elevando le proprie caratteristiche a modello — se non ad archetipo — di un’intera categoria. Tuttavia, per chi scrive, l’interesse verso il personaggio ideato da John Carpenter e Debra Hill non deve essere rivolto a fattori matematici come numeri o gradi quanto a fattori linguistici, che spieghino come e perché Michael Myers sia diventato uno dei prototipi del killer orrorifico. Per fare ciò Halloween 6 – La maledizione di Michael Myers è uno degli episodi più adatti, per gli accenni all’attrattività erotica del killer e le riflessioni, parziali, sulla sua figura mediale.
Il personaggio di Carpenter è l’incarnazione di un istinto mortifero atavico, un individuo nato con il solo scopo di uccidere: Myers definisce la sua identità attraverso l’azione omicida in un modo che Aristotele definirebbe tipico del pratton (ovvero del personaggio di pura azione volto a muovere il racconto). Episodio dopo episodio, questa natura unidirezionale è diventata oggetto di un’attenzione voyeuristico-morbosa dentro allo schermo (sono i personaggi che gli ruotano attorno a voler ricostruire la sua storia, a voler scavare fino alle radici del male che lo guida) e fuori dallo schermo (tra sequel e reboot si è arrivati al momento ad undici film).
Con la sua violenza efferata, Myers è l’oggetto privilegiato delle narrazioni dei media e della cultura popolare. Tutti parlano di Michael Myers nei giorni che precedono Halloween: i giornali, le televisioni, i bambini, le radio, le donne che vorrebbero vederlo in faccia e andarci a letto. Dalla sua maschera scaturiscono leggende e dalle leggende scaturisce l’ossessione per il suo volto. Ma non solo. La sua casa diventa un luogo di attrazione per i curiosi, la sua maschera un oggetto di culto e la memoria delle sue gesta finisce per essere un leitmotiv negli scherzi, nelle barzellette e nelle storie di paura, venendo inglobata dallo spirito carnevalesco della festa delle streghe. In ciò Myers sembra un vero natural born killer, come lo sono Woody Harrelson e Juliette Lewis nel film di Oliver Stone, una pellicola che per quanto lontana è molto presente, di riflesso, in questo Halloween 6, a partire dalla sua storia produttiva.
Natural Born Killers è uno dei film più controversi della carriera di Stone, distribuito nel 1994, lo stesso anno di Pulp Fiction, e nato da un soggetto (misconosciuto dopo la produzione del film) scritto proprio dall’allora regista emergente Quentin Tarantino. Il cineasta di Knoxville avrebbe dovuto, inizialmente, ricoprire il ruolo di produttore esecutivo di Halloween 6 salvo poi abbandonare per motivi non ben specificati, nonostante si fossero rincorse voci di una possibile sceneggiatura in pieno stile Tarantino che avrebbe rivoluzionato la saga intera. Ciononostante, sono molti gli echi delle vicende di Mickey e Mallory nel film affidato a Joe Chapelle, rimandi che se sviluppati avrebbero offerto maggior motivo d’interesse rispetto alla trama stanca che invece ha finito per prendersi il film, e che porta il racconto in zone diametralmente opposte a quelle che, probabilmente, erano state immaginate dalla coppia Tarantino – Spiegel (che avrebbe dovuto curare la regia).
Accade quindi che il rapporto tra la cittadina di Haddonfield e i media sia solo accennato, abbozzato e poi dimenticato per lasciare spazio alla dimensione sovrannaturale, più tipicamente orrorifica della saga. Ma lo stesso Carpenter (ancora in veste di produttore), come Tarantino (seppur in modi differenti), ha costruito parte della sua filmografia sull’ossessione per i media, così in Halloween 6 si potrebbe trovare motivo d’interesse nell’estetica della cronaca nera, nella mitologia dell’assassino e nelle leggende psicotiche che aleggiano attorno al suo mondo.
Nel film di Chapelle, Myers appare in pochissime scene e per pochi istanti, le sue “comparsate” sono brevi e improvvise, come fosse un angelo della morte che la macchina da presa decide di seguire solo nell’atto dell’uccisione. Il regista e Daniel Farrands (alla sceneggiatura) spostano quindi l’occhio dal Myers-killer al Myers-leggenda, allontanandolo dallo schermo per dare vita al suo mito, a tutti i feticci e i racconti che colmano la sua assenza, ma senza realmente addentrarsi nelle dinamiche di mitizzazione del mostro.
Più che un sequel del precedente Halloween 5 - La Vendetta di Michael Myers, di cui recupera l’aspetto sovrannaturale, il film avrebbe potuto essere una riflessione horror su come Myers sia stato utilizzato dalle radio e dalle televisioni, su come sia diventato una figura del folklore, un’attrazione per la stessa cittadina che ha assistito ai suoi delitti, rendendo così più ampio il raggio d’azione della storia come, paradossalmente, già accadeva in Halloween 3. Si limiterà invece ad essere l’ennesimo paragrafo di una storia che, a breve, avrà bisogno del reboot di Rob Zombie per acquisire nuova vita.