Kufid

di Elia Moutamid

Cambiare strada come unica via possibile: la cronistoria della pandemia come riflessione su un’Italia che cambia.

Kufid Point Blank recensione

Vinci il premio della giuria al Festival di Torino nella sezione Italiana.Doc; menzione speciale ai Nastri d’Argento, sempre nel 2018; Talien, una storpiatura, il mondo in cui i marocchini chiamano l’Italia, questo il nome del documentario in cui accompagni tuo padre in camper a Fes – un vero e proprio road movie - perché è lì che vuole godersi la pensione, dopo quarant’anni di fortuna nel nostro paese. Poi che succede? Scopri che il centro storico e medievale di Fes non è più quello di una volta, la gentrificazione avanza, tuo padre fa fatica a riconoscere i luoghi e le persone della sua giovinezza e allora, dal novembre del 2019, ti prepari a girare un film sulla sostituzione dei residenti storici della medina. “Inch’Allah”, se Dio vuole, ma poi arriva qualcosa che nessuno poteva prevedere, né in cielo né in terra, perché il 2020 è l’anno di Kufid. Covid, per il resto del mondo.

Kufid comincia così, con una falsa partenza. Niente più Fes, ma Brescia, città di adozione di Elia, classe 1982, o meglio casa sua, il suo giardino e la sua compagna. L’opera seconda di Moutamid è un film tanto familiare, intimo e personale, quanto inevitabilmente collettivo, perché fin dai primi giorni della pandemia il regista comincia a documentare tutto, le nuove abitudini, l’informazione televisiva, l’ironia social, l’immancabile lievito di birra, un intero Paese chiuso in casa. Non siamo dalle parti dell’anarchia poetica di Jonas Mekas, ma di fronte a un racconto lucido e ben montato in cui è facilissimo e piacevole rispecchiarsi, incalzato dalle ottime musiche di Piernicola Di Muro. Almeno all’inizio. Quando, cioè, vediamo la prima reazione dell’autore e di tutti gli italiani, ovvero una generale sottovalutazione della pandemia. Le videochat, tanto tempo libero, le grandi pulizie. “Torneremo più forti di prima”, dicevamo tutti. “Ma come stavamo prima?”, si chiede il regista.

È qui che Kufid entra nel vivo. Se all’inizio del documentario assistiamo alle suggestive immagini di una Fes in brulicante e continuo cantiere, adesso vediamo i luoghi disabitati e in rovina di cascine, fabbriche, piccole e grandi aziende un tempo floride che oggi sono solo un ricordo del capitalismo del Nord Italia. C’era già qualcosa che non funzionava, ci ricorda l’autore, che si spinge fino all’autobiografia parlandoci del suo lavoro precedente, proprio in una fabbrica, come responsabile reclami. Paradosso evidente – risolvere un problema e assicurarsi che determinati imprevisti non si ripetano in futuro VS l’imponderabilità del virus nel presente e nel futuro – ma forse il passaggio meno a fuoco della voce narrante dei Moutamid.

Ennio Flaiano diceva che i migliori a raccontare Roma sono quelli che non ci vivono, o comunque nati altrove. Se invece della Capitale pensiamo all’Italia intera, ecco che la cronaca in presa diretta dei mesi di marzo e aprile 2020 ad opera di uno “straniero”, uno di quelli che secondo una definizione infelice alcuni chiamano immigrato di seconda generazione – come se crescere in un altro paese fin dall’infanzia non bastasse mai ad essere accolti fino in fondo – risulta forse più efficace di tanti racconti e narrazioni viste finora. C’è, infatti, anche spazio per il trattamento riservato dai leoni da tastiera a Silvia Romano, la volontaria italiana di fede islamica rapita in Somalia e poi liberata proprio in quei giorni. Chi sono gli italiani di oggi, sembra chiedersi il regista ai limiti della retorica, quasi tradito dai suoi connazionali. Si palpita, e non poco, quando il fratello di Elia si ammala di Covid e deve cavarsela da solo, confinato in solitudine a soli quindici chilometri dal regista o quando il loro padre, Aldo, protagonista di Talien, sfrutta l’opportunità concessa dalla Farnesina di poter rientrare in Italia.  Kufid finisce così per restare un documento a futura memoria, capace di emozionare, ma soprattutto di contrastare quel tristissimo fenomeno di rimozione collettiva che i media e buona parte del nostro Paese non vedono l’ora di compiere non appena questa subdola e devastante emergenza sembra allentare le proprie maglie.

Autore: Paolo Di Marcelli
Pubblicato il 12/07/2021
Italia, 2020
Durata: 56 minuti

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