Fairytale
Penalizzato da una distribuzione limitata in patria, il lungometraggio di Bisceglia e Malgarini si riscatta all’estero con la cura della forma e dei contenuti
Nell’epoca d’oro delle serie tv la distanza tra piccolo e grande schermo non è mai stata tanto breve. Così può accadere che un cortometraggio ideato per essere episodio pilota di una serie, rinasca come film di genere alla cancellazione del progetto. Prodotto appositamente per il web da Rai Cinema e One More Pictures, Fairytale è un film horror del 2012 scritto da Christian Bisceglia e diretto insieme ad Ascanio Malgarini, due autori formatisi rispettivamente nel mondo delle soap e nella pubblicità. La pellicola, destinata al web in Italia e alla distribuzione in sala all’estero (con il titolo di The Haunting of Helena), è la rielaborazione del precedente cortometraggio Fairy, premiato al Fantasy Horror Award nel 2009. La genesi multifasica dell’opera non deve frenare i puristi, perché già dall’inizio appare chiaro come il risultato sia un prodotto migliore di altri, di più elevato lignaggio. Agli elementi topici del genere come la nuova dimora teatro di un antico delitto e l’armadio, iconica paura infantile, questa volta si aggiunge la fatina dei denti, personaggio della tradizione universalmente conosciuto, declinato per la prima volta in veste horror.
Sophia, trasferitasi in una nuova città, si prende cura della figlia Helena, sullo sfondo dell’architettura fascista di Latina. L’arrivo nella nuova casa coincide con la caduta dei denti da latte di Helena, inducendo nella bambina cambiamenti comportamentali preoccupanti. La madre si convince della reale esistenza dell’orripilante Fatina quando scopre la tragica morte dell’antica proprietaria di casa, privata dei denti e rinchiusa agonizzante nell’armadio dal marito, un ufficiale del regime fascista. Il giro di boa della storia viene segnato dall’acquisita consapevolezza di Sophia del paranormale, che da qui in poi viene mostrato con chiarezza, evitando sapientemente, a differenza di lungometraggi analoghi, il susseguirsi di scene allusive che fanno attendere l’inizio dell’orrore sino ai titoli di coda. La scena del corridoio, l’unica realmente paurosa, testimonia questo cambio di passo, mostrando che l’angoscia, sino ad ora circoscrivibile in un armadio come le paure di una bambina, diventa adulta e reale, capace di spostare pianoforti e paralizzare menti razionali.
Il film è rifinito in ogni aspetto spiccando su tutto la scelta dei tempi. Così i molteplici elementi horror dell’intreccio (letteralmente dalle zanzare ai lupi) si inseriscono progressivamente senza ingarbugliare una storia altrimenti passibile di confusione. La commistione dell’orrido all’ambientazione storica fascista corre il serio rischio di esitare nel grottesco, ma il problema viene abilmente evitato ed il flashback sull’antico uxoricidio risulta una buona scena con un misurato rallenty e una fotografia indovinata, che elevano il tono del film. La medesima cura dei dettagli viene riservata ai dialoghi, che presentano i personaggi senza stereotipi accennandone la sottostante psicologia. Il dubbio sulla possibile schizofrenia di Shopia infatti emerge spontaneamente, venendo fugato dall’imperversare degli eventi sugli altri personaggi, con il picco raggiunto da una grandinata di denti insanguinati, talmente convincente come allucinazione da sembrare di ispirazione reale. Ma se è vero che un’allucinazione sconvolge la psiche insegnandole l’intangibile oltre il concreto, un perfetto esercizio di stile come Fairytale non necessariamente ottiene lo stesso risultato. La pellicola riesce a centrare tutti gli obiettivi che si pone, ma sembra dimenticare il suo pubblico nativo di appartenenza, il quale perdonerebbe qualsiasi incongruenza pur di entrare in sintonia con l’ispirazione autoriale. L’equilibrio delle parti finisce per evidenziare l’assenza di un indirizzo specifico e la possibile originalità di una storia tutta al femminile che agita lo spettro del fascismo si sciupa in un risultato tutt’altro che allucinatorio del quale rimane poco oltre il concreto delle singole componenti. Così la distanza tra piccolo e grande schermo per quanto accorciatasi rimane ancora là, a ricordare che rispondere pedissequamente a degli standard è caratteristica più tipica di un prodotto che di un’opera d’arte. Anche l’arte è un mestiere d’altronde, e nei mestieri il metodo è metà del segreto; così gli autori al loro esordio nel genere con questo horror, ne dissimulano la limitata genuinità, aprendo il genere a un pubblico più vasto, mediante una costruzione articolata in cui la ricerca della reazione paurosa cede il passo al costante sopraslivellamento tensivo, rimettendo allo sviluppo della sceneggiatura la funzione angosciante.
Fairytale ne risulta un horror godibile e assolutamente a suo agio in una videoteca di titoli più blasonati. Con un andamento a tratti lento, procede senza sbagli e si fa notare per la cura degli effetti speciali, nettamente al di sopra della categoria di appartenenza, ricordandoci la più famosa citazione di Thomas Alva Edison per il quale il genio è costituito per il 10% da ispirazione e per il 90% da traspirazione.