Fixeur e Illegittimo: il cinema di Adrian Sitaru che fa i conti col passato
Grazie alla distribuzione di Lab80, gli spettatori italiani hanno la possibilità di scoprire il cinema di Adrian Sitaru e il suo confronto con i lasciti della dittatura.
Rifiutando di approcciarsi in modo espressionistico alla rappresentazione del reale e tenendosi allo stesso tempo lontano dal didascalismo, la poietica del regista romeno Adrian Sitaru finisce per porsi in continuità con un certo modo di fare e intendere il cinema di alcuni suoi connazionali (Cristi Puiu e Cristian Mungiu in primis, per citare i più noti, ma anche Corneliu Porumboiu, Radu Muntean, C?t?lin Mitulescu e C?lin Peter Netzer) che i critici hanno accomunato sotto l’etichetta di Noul Val Romena, la nuova onda romena.
Si tratta di cineasti appartenenti alla cosiddetta generazione “postdicembrina”, cioè a quegli intellettuali nati dopo la seconda metà degli anni Sessanta che hanno completato la loro formazione umana e professionale dopo la rivoluzione del 1989, quella che portò al crollo del regime comunista di Ceau?escu. Un gruppo più o meno omogeneo di registi in grado di imporre le proprie creazioni all’attenzione del pubblico internazionale soprattutto in virtù dell’apprezzamento che sono riusciti ad ottenere, con regolarità, nei principali festival europei.
Nell’ultimo lavoro di Sitaru, Illegittimo, distribuito in alcune sale italiane insieme al precedente Fixeur grazie all’impegno ammirevole di Lab80, si ritrovano certamente alcuni stilemi tipici di questa presunta corrente: il realismo “minimalista” e la propensione per un accostamento “osservazionale” al profilmico, l’influenza del documentario, il rigetto o la dialettica facinorosa con il passato, l’assenza di commento autoriale. Ma se il ricorso ad un impianto realistico, inteso essenzialmente come naturale antidoto alle mistificazioni messe in atto dalle opere di propaganda del regime (come è avvenuto per il Neorealismo italiano e il cinema dei “telefoni bianchi”) è sicuramente un tratto comune tra gli esponenti della nuova onda romena, è pur vero che ognuno di essi insegue una personale idea di realtà. Che la realtà, insomma – come se fosse necessario ribadirlo – viene sempre filtrata da una soggettiva sensibilità, che non sta solo necessariamente nella messa in scena ma anche nella messa in campo, nella scelta di ciò che merita di entrare nell’inquadratura.
Sitaru, ad esempio, risente, almeno in minima parte, di una fascinazione per la fatiscenza, per tutto ciò che è cadente, decaduto, andato a male, sordido. Senza che questo si trasformi in chiave gotica, visionaria o anche semplicemente melodrammatica. La realtà offre spunti interessanti in tal senso, il regista ne recupera il potere simbolico senza però lavorarli parossisticamente. Si prenda Fixeur. Ad un certo punto del film il protagonista, che lavora come guida e riferimento locale per la filiale di un’agenzia di stampa francese, si ritrova a viaggiare in treno in compagnia di un uomo dal braccio amputato. E la protesi, che giace sulla cappelliera come fosse un normale bagaglio perché l’uomo è comodamente coricato sulla brandina della cuccetta, viene inquadrata tramite la soggettiva del protagonista, che rimane del tutto impassibile.
Al centro di Illegittimo c’è invece il grande tabù dell’incesto, della relazione sessuale tra fratelli, nello specifico tra due gemelli. E si scava a fondo, morbosamente, nella iugulatoria intimità-promiscuità di un’intera famiglia, composta da quattro figli e un padre. E anche se non si approda mai sul terreno del surrealismo, dell’allucinazione, dell’alterazione di coscienza, dell’incursione nell’inconscio, è evidente come la semplice scelta di inserire il tema del rapporto endogamico obbedisca a ragioni extra-mimetiche, concettuali.
Più che ad una presa di posizione sull’incesto o sull’aborto (quest’ultimo messo in relazione alle politiche anti-abortiste e persino anti-contraccettive del conduc?tor Ceau?escu, che impose incentivi alle nascite vietando l’interruzione di gravidanza e l’utilizzo di metodi contraccettivi per le donne con meno di quarantacinque anni e meno di quattro figli per mezzo del famigerato decreto 770) Sitaru pare interessato a riflettere su ciò che sta a monte, alle dinamiche della proibizione, al modo in cui si innescano i meccanismi di censura. Sociali, morali, psicologici o persino psicogenetici (l’effetto Westermarck). È contro il tentativo di mettere a tacere il libero arbitrio e il diritto di scegliere cosa è più giusto per se stessi e per il proprio corpo che il cineasta romeno si schiera, senza mai far trapelare una netta presa di posizione ma, al contrario, concedendo ai propri personaggi di argomentare le proprie valutazioni.
Argomentare, appunto. È la parola ad essere al centro del cinema di Sitaru. In Fixeur, dove pure c’è la già citata scena con l’uomo monco d’un braccio, l’orrore della prostituzione minorile non si materializza pienamente in tutta la sua ripugnanza finché la 14enne non esplicita, a parole, quanto in profondità ha inciso il trauma della mercificazione del suo corpo.
In Illegittimo è sempre la parola – nella forza prorompente del dialogo-scontro, della dialettica serrata di conversazioni tra padri e figli e tra fratelli – a far emergere, non senza difficoltà, i segreti più oscuri. Finché il tempo, cui si accenna da un punto di vista filosofico all’inizio del film, che altro non è se non spazio di evoluzione di pensieri, parole e quindi della personalità, del nostro stare al mondo, lenisce l’ennesima sofferenza, trasformando il dolore in gioia, la vergogna in orgoglio. Tempo e parola (che è pensiero, riflessione, dialettica, come dicevamo): ciò che serve al cinema romeno, nuova o nuovissima onda che sia, per chiudere i conti coi fantasmi del passato.