A partire da questo articolo, Point Blank inizia una monografia dedicata al percorso cinematografico del poliedrico regista Nico Cirasola, aprendo su di lui un ciclo di visioni sulla sua filmografia che si protrarrà per diverse settimane, tante da garantire l’analisi di tutte le opere del regista pugliese.
Aria pura, paesaggi della campagna pugliese, semplicità e un pizzico di nostalgia; questi gli ingredienti della ricetta gustosa ed equilibrata di Focaccia Blues, un film, o, per meglio dire, una docu-fiction, firmata Nico Cirasola, qui al suo secondo blues dopo Albània Blues del 2000. Questa interessante docu-fiction trae ispirazione dalla vera storia del “Panificio che batté McDonald”, una curiosa e bizzarra vicenda svoltasi fra il 2001 e il 2003, nella città di Altamura in Puglia che vide, contro ogni aspettativa, la sconfitta del colosso, ormai icona globale del fast-food, di fronte a una modesta e casereccia panetteria a conduzione familiare che aprì la sua attività accanto alla corporation statunitense.
E’ proprio la stranezza di questa vicenda a fornire l’ispirazione, nel 2006, ad Alessandro Contessa, produttore pugliese che, nel 2007, affida la regia del futuro Focaccia Blues a Nico Cirasola. Da notare il lasso di tempo intercorso tra la vicenda e l’inizio delle riprese: ben quattro anni. Questo perché nel 2003 la notizia ebbe poco seguito, sviluppandosi per un breve periodo, e solo in ambito nazionale, mentre nel 2006 una nuova intervista da parte del corrispondente italiano del quotidiano francese Libération diede nuovo slancio alla vicenda, ponendola così sulla scena internazionale, tanto che la notizia venne pubblicata anche sul New York Times.
Focaccia Blues rievoca quest’episodio altamurano e lo rimodella. Il film si fa metafora del crescente e inarrestabile fenomeno di globalizzazione, l’ormai famoso e criticato processo economico e sociale di scala internazionale che, se da un lato avvicina etnie, culture e tradizioni diverse, dall’altro contamina l’entroterra e l’identità culturale dei luoghi cui viene a contatto appiattendo o spazzando via le importanti differenze antropologiche e sociali. Altamura, invece, a questo smarrimento delle tradizioni si oppone, e, con la sua umiltà e semplicità, scardina l’impero multinazionale del McDonald, sconfiggendo il totem della globalizzazione.
La storia presa in questione ha in sé qualcosa di romantico: il colosso multinazionale, simbolo dell’industria e del consumismo contro l’umile attività a conduzione familiare; quel gusto epico e sentimentale del piccolo contro il grande, del fragile contro il robusto; un vero e proprio scontro fra Davide e Golia. Pur abbracciando un tema così metaforico, vasto e complesso quale la globalizzazione, il film non risulta invadente ne pretenzioso. Anzi: ci spiazza proprio per la sua semplicità, per l’umanità e il calore che la comunità altamurana ci trasmette, quella comunità che è semplicemente orgogliosa della sua storia e delle sue tradizioni, gastronomiche e non. La pellicola è piena di cameo: vi troviamo un simpatico Nichi Vendola nelle vesti di un esercente cinematografico, il regista Cirasola come cliente del barbiere intervistato, Lino Banfi e Renzo Arbore maschere di uno stereotipo del “barese e del foggiano” e un Michele Placido nei panni di proiezionista, a ribadire la cifra umana dell’interesse sentitamente sociale nel narrare le gesta del panificio L’Antica Casa Di Gesù (nome dell’esercizio di panetteria che fece chiudere il fast-food).
L’intreccio scorre piacevolmente, e vi possiamo individuare tre filoni principali: il triangolo d’amore tra Dante (Dante Marmone), Rosa (Tiziana Schiavarelli) e Manuel (Luca Cirasola), condito con simpatiche colonne sonore che ricordano il Morricone degli intramontabili western; il viaggio di Onofrio (Onofrio Pepe) nelle vesti di reporter negli USA a mostrarci la corporation nella sua Chicago, e il documentario vero e proprio, con le interviste ai cittadini di Altamura. Tre filoni spesso uniti l’un l’altro dall’ape-car blu di Dante, legante del susseguirsi degli episodi che prende per mano la storia, facendosi collante narrativo.
Fra i tanti contributi presenti nella docu-fiction di Cirasola si ricorda l’intervista finale della Preside del Liceo di Altamura, che ricorda, facendosi rappresentante della comunità di Altamura che: “Noi siamo pienamente europei, pienamente mondiali, pienamente umani, se siamo veramente altamurani, pugliesi, italiani”. Una rivendicazione, insomma, delle identità locali, delle tradizioni, che non dovrebbero mai sparire, che sono il cuore, il folklore, la vera essenza e storia di ogni comunità. Rivendicazioni espresse in immagini con le riprese della processione di Altamura, simbolo della tradizione, della storia del luogo; e in parole dall’intervista al vecchio sellaio, in cui lui e il suo mestiere, ormai in via d’estinzione, sono metafora di un epoca ormai in continuo sviluppo, progresso e inevitabile superamento. Proiettato nelle sale nel 2009, Focaccia Blues ci restituisce quella semplicità, quell’amore per la tradizione e la memoria che i luoghi racchiudono, elementi troppo al lungo trascurati e perduti di vista dall’odierna società, e ci ricorda quanto sia importante la diversità, e come essa debba essere tutelata, non cancellata. Il McDonald ha così fallito la sua spedizione di conquista gastronomica nelle terre altamurane, schiantandosi contro la focacceria locale che con la sua stessa arma – ovvero il libero mercato – ha saputo soverchiare l’impero del fast-food.