SanPa – Luci e ombre di San Patrignano
La serie Netflix prova a ricostruire il rapporto tra oggettività e inchiesta giornalistica proponendo al contempo una terza, originale via per rapportarsi alla dimensione digitale, tra la materialità e la completa adesione all’infosfera.
Forse l’approccio giusto per entrare in profondità in SanPa – Luci e ombre di San Patrignano, il documentario Netflix ideato da Gianluca Neri e dedicato a Vincenzo Muccioli e alla comunità di recupero da lui fondata, consiste nel partire dal progetto seriale senza però perdere mai di vista l’ecosistema della piattaforma in cui si è sviluppato.
A posteriori, colpisce in effetti quanto SanPa sia inscindibile dalla dimensione digitale che lo contiene rappresentando al contempo un unicum per il modo in cui si interfaccia con quello stesso spazio, attraverso uno sguardo clinico e una concretezza che sono alle fondamenta del linguaggio documentario. Si tratta di un dualismo tanto stilistico, con il documentario che si muove liberamente tra la tradizione Rai e il netflixiano Wild Wild Country, quanto ideologico, legato allo sguardo con cui gli autori scelgono di osservare il caso Muccioli. Perché se è vero che il modo in cui la diegesi lascia che a ricostruire la vicenda siano le parti coinvolte (senza forzature e con grande oggettività) è quasi spiazzante, non bisogna credere che il racconto di SanPa non sia orientato.
A prendere posizione è infatti lo spazio digitale, che accoglie il progetto e che reattivamente struttura segni, spunti, ideologie in un dialogo costante, una dimensione che la diegesi modella e direziona per svelare le ambiguità di strutture apparentemente perfette. E dunque se è chiaro che SanPa non perde mai il suo approccio eminentemente biologico, che lo porta a osservare la comunità come si farebbe con un essere vivente che nasce, matura e muore, è altrettanto vero che il digitale viene usato alla stregua di un bisturi utile a svelare il male oltre le apparenze. Del resto lo spazio comunitario di San Patrignano si sviluppa già a partire da un coacervo di immaginari deviati, tra le ceneri dei libertari anni ’70 e il lato oscuro dell’edonismo anni ’80, ma colpiscono soprattutto le argomentazioni che SanPa sviluppa nel momento in cui si concentra sul corpo di Muccioli.
La diegesi sottolinea di continuo come il destino della comunità si rifletta sulla fisicità del suo fondatore. Imponente nel momento di massimo splendore della sua creatura, sempre più esile e smunto negli anni della decadenza, il corpo di Muccioli cresce in maniera direttamente proporzionale alla sua tracotanza, assorbendo e rilanciando schegge di un’ideologia italiana passata e inquietanti presagi della forma mentis che verrà. In Muccioli trovano spazio tanto l’autoritarismo reazionario pre ‘68 quanto quella pervasività dei media, quella manipolazione dell’informazione, quel populismo, quella vetrinizzazione della propria identità che saranno alla base di certa ideologia degli anni ’00. Con lungimiranza, SanPa porta alla luce il paradosso di Muccioli, un uomo che diventerà egli stesso un’immagine della cultura di massa pronto a manipolare altre immagini, quelle legate alla percezione che la società ha della sua comunità, nascondendo tanto le torture agli ospiti quanto i sospetti sulla sua sieropositività.
È poi evidente quanto il dialogo tra racconto, linguaggio e libera interazione con gli immaginari coinvolga anche il modo in cui la vicenda viene raccontata. Man mano che ci si avvicina alle tesi centrali di SanPa, infatti, le forme del documentario si assottigliano fino a diventare altro, quasi fossero alla costante ricerca di una struttura adatta a mediare una verità complessa da metabolizzare. La storia di Muccioli e di San Patrignano parte dunque seguendo le coordinate di una storia di ascesa e caduta all’americana, vira improvvisamente sui sentieri del thriller e si conclude in un ultimo atto che ha tutti i crismi di un mafia movie.
Sebbene alcuni commentatori abbiano messo in luce quanto proprio attraverso SanPa Netflix abbia assunto lo status di divoratore di immaginari, capace di risucchiare persone, fatti, tragedie ma anche vecchi statuti della comunicazione, è impossibile non soffermarsi sul versante più luminoso di quest’interazione tra Storia, cronaca, piattaforme e dimensione digitale: è indubbio infatti che SanPa legga Netflix e lo spazio digitale da un punto di vista quasi pre-internet, come zone franche, luoghi di confronto ideali per sviluppare argomentazioni complesse e sfaccettate senza costrizioni ideologiche.
Al di là della cura attraverso cui ricostruisce un rapporto maturo con i fatti e le opinioni, ciò che colpisce di SanPa è la sua anima duplice come il linguaggio che ha scelto di adottare, vivacissima nel rapportarsi alla duttilità del digitale ma anche lucida nell’ammettere la propria finitezza. SanPa sa che la sua è solo una delle verità possibili, solo una tra le versioni di una storia, magari la più plausibile ma costantemente rilanciabile, precisabile, degna di approfondimento, a suo modo malleabile, forse essa stessa ambigua, come quel digitale che la sostanzia ma anche come le parole di coloro che negli anni hanno considerato Muccioli tanto una minaccia quanto un salvatore.