Gomorra 2. La Serie

Verso la fine del giorno: la topografia del nostro male migliore

“Folle è chi si fida della docilità del lupo, della salute di un cavallo, dell’amore di un ragazzo, del giuramento di una puttana” Re Lear - William Shakespeare

A sei anni dalla prima edizione del romano di Saviano trasposto, due anni dopo da Matteo Garrone – che ci ha regalato una perla cinematografica tutt’oggi di grandissimo valore – Gomorra – La Serie arriva alla sua seconda stagione. Serie criminale tanto osannata quanto discussa insieme, prima attesa e poi vista da oltre 1 milione e 200 mila spettatori, la seconda stagione destruttura la sua verticalità di matrice tragica shakespeariana per una topografia del male che sul territorio si diluisce, mettendo in scena vari nuclei criminali e varie famiglie che tentano di tenere insieme i feudi, o meglio le piazze di spaccio, lasciate dal deposto re. Al timone di regia sempre Stefano Sollima, coadiuvato da Cupellini, Comencini e Giovannesi. Lontano dalla funzionante fumettistica della suburra romana, è il padre della neo-criminalità cine-televisiva (Romanzo Criminale, Gomorra, Suburra), del neo-noir che tanto sta concedendo, in incassi e visualizzazioni, al panorama italiano all’estero (forse una delle poche note lieti di un modesto ma continuativo ritorno al genere della nostra industria, pensiamo che in un anno solare sono usciti altri due miracoli come Rovere e Mainetti).

Sia la prima che la seconda stagione incentrano la loro drammaturgia sul controllo camorristico del territorio napoletano da parte della famiglia Savastano e sui legami di sangue e di discendenza che la famiglia vorrebbe perpetrare a discapito di altre famiglie della regione, come i Conte. Se il dramma edipico tra Genny e Pietro prosegue, risolvendosi definitivamente nell’incontro-duello cimiteriale finale tra due dei grandi protagonisti anti-eroici, lo stesso Pietro e Ciro, villain per eccellenza entrambi, l’uno che nel sangue e nel silenzio di una stanza murata ha riacquistato il suo trono giocando una partita a scacchi con la morte degli altri e con le tensioni che essa genera, e l’altro, personaggio oramai consumato nell’oblio dall’odio e dalla brama di potere, personaggio adombrato e cinereo che nella vendetta tenta di far tacere i fantasmi delle vittime che mai più lo abbandonano; la geografia della serie si infittisce di personaggi, alcuni dei quali, oltre a rimanere nella mente e nel cuore degli spettatori – come Patrizia, Scianel, Malammore – torneranno anche nella terza stagione.

Ma è principalmente nel segno della donna, dell’eterno femminino goethiano che la seconda stagione rimarrà indimenticabile. Un personaggio femminile tanto carismatico come Donna Imma è difficile da sostituire, la sua personalità, insieme materna, spietata e tragica, come una lady Macbeth d’italica lega, si destruttura anch’essa in un universo femminile che ci regalerà dei personaggi davvero indimenticabili. Da Scianel, la bionda a capo di un feudo camorristico, spietata e mefistofelica, alla nuora, Marinella, relegata dalla stessa dietro delle sbarre domestiche e personaggio schiavo di un amore perduto di deandreiana memoria. A Deborah, che cede alla violenza ed alla paura del suo uomo, del padre dei propri figli, Ciro, su quella spiaggia al tramonto, ed Azzurra, il contraltare femminile di Genny, provocante genitrice di una nuova nascita che coincide con una morte importante. E’ sotto il segno della donna che gli uomini agiscono, si uccidono, si salvano, piangono, è sotto il segno della donna che si consolano, che si amano e che si odiano, è sotto la loro costellazione che generano violenza e pietà. Uomini che sono solo muscoli ed emotività, frustrazione e compassione, inetti e violenti, padroni del mondo o schiavi, intelligenti come ’O Principe dal taglio facile ed unico nella piazza che si rassicura all’ultimo piano di una palazzina tra le braccia di una pantera, o tradizionalisti come Carmine Conte, anch’egli soggetto di una passione inconfessabile, personaggio anch’esso tragico che morirà in una delle migliori scene della stagione, durante la Processione dei Battenti. Ma l’eterno femminino è anche l’amore dei padri nei confronti delle proprie figlie, dove neanche un’identità femminile in divenire, come Maria Rita Di Marzio, viene risparmiata dalla violenza dell’uomo, dalla sete di potere dei maschi, da quel lato camorristico senza più scelta, da quel lato oscuro da non emulare, da non santificare, il lato umano del male. Tra le pieghe drammatiche sembra si cerchi un avvertimento morale, la camorra è odio maschile, la camorra è donna solo quando la donna ha perso il suo lato materno, quando la prole è lontana, quando è costretta ad essere uomo (Scianel – Donna Imma). La camorra costringe alla solitudine ed alla paura, e nella solitudine – del femminile dall’uomo, e dell’uomo dal suo lato femminile – si struttura infondendo il seme della partecipazione, come accade ad uno dei più belli personaggi femminili da anni a questa parte di tutto il cinema italiano, stiamo parlando ovviamente di Patrizia, l’ambasciatrice, occhi ed orecchie di un uomo solo, del re murato, occhi ed orecchie da vendere, sensi di una donna sola senza un uomo a casa e con una famiglia numerosa da mandare avanti. Un meraviglioso ritratto al femminile che sembra uscito da una canzone di Vasco Rossi. Forte, tenace, coraggiosa, sensuale, ma anche estremamente delicata, un’anima fragile in una corazza tatuata di carne ferrigna, insensibile ma allo stesso tempo responsabile, talmente donna da nascondere la propria frangibilità dietro ad un tatuaggio ferino. La fine del giorno sta tutta qua. Ed è con questa frase che si conclude la seconda stagione, come a voler ricordare che il giorno è appena tramontato, che sotto il sole si è ucciso, si è amato, si è tradito, ed alla fine, dentro al cimitero - che è anche il cimitero del giorno - la notte ha preso possesso dei personaggi, ed i fantasmi che si portano dietro, generati alla luce del sole, escono inevitabilmente dalle tombe per chiedere vendetta e per ricordarci della solitudine e del rimorso che si genera nell’uomo senza la sua parte di salvifica femminilità generatrice.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 18/06/2016

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