I Am Mother
Ancora Netflix, ancora fantascienza per un piccolo film di genere capace di dare una dimensione intima a temi universali e di forte attualità.
Di film di fantascienza che sanno fare del proprio ristretto budget una virtù ne è pieno il mondo (e, soprattutto, Netflix). I Am Mother, opera prima del regista Grant Sputore, sembra rientrare in questa categoria, anzi, pare essere la summa perfetta di quello che la piattaforma di streaming ha da offrire in materia di prodotti di genere, con tutti i pro e i contro che ciò comporta.
Perché in questo dramma da camera in chiave sci-fi, consumato all'interno di una manciata di mura – fuori, invisibile (o quasi), l'apocalisse, dentro, una ragazza (la giovane e decisamente convincente Clara Rugaard) e il robot (doppiato da Rose Byrne) che l'ha allevata come fosse sua figlia – ci sono tutti gli elementi del classico film targato Netflix: un'idea forte alla base, uno sviluppo serrato capace di tenere alta la tensione nonostante le ristrettezze di mezzi (e spazi) e un volto celebre per dare spessore e garanzia di qualità all'operazione (ruolo questa volta assegnato a Hilary Swank, misteriosa donna destinata a spezzare l'equilibrio tra madre e figlia). D'altronde, non è all'insegna né dello spettacolo né degli effetti speciali ma della paranoia e dell'ambiguità che si gioca tutto il senso di un progetto come questo, un kammerspiel fatto di colpi di scena e ribaltamenti prospettici che non ha paura della prevedibilità, riscattato com'è da una regia solida, capace di ovviare agli evidenti limiti produttivi in maniera inventiva ed efficace, il tutto per mettere in scena il più distopico dei viaggi di formazione: la crescita in cattività di un'adolescente pronta a diventare donna, anche a costo di mettere in discussione l'autorità materna, le sue apprensioni, i suoi divieti, le sue bugie.
Nel mezzo, tutto l'armamentario del genere, da un robot che per ambiguità ed estetica pare fare il verso all'HAL 9000 di 2001: Odissea nello spazio, al sempre controverso rapporto tra uomo e macchina, qui arricchito da un'idea di fondo non del tutto scontata.
È così che il percorso di crescita della giovane protagonista – prototipo di una nuova umanità, perfetta non per ragioni genetiche ma per gli insegnamenti (etici, soprattutto) ricevuti – guarda al presente con sguardo nuovo, relegando i temi post apocalittici e tecnologici fuori dalla porta e concentrandosi sulla differenza che può fare l'educazione sulle nuove generazioni e sul loro futuro.
Il risultato è un'opera minimale, che rifugge lo spettacolo e che, forse, proprio per questo avrebbe potuto osare di più a livello tematico ed espressivo, ma che riesce, nonostante tutto, a tenere alta l'attenzione, garantendo un intrattenimento decisamente non scontato. Quanto basta comunque a Netflix per riproporre ancora una volta la sua formula (per ora) vincente.