Diretto da Valerio Vestoso, giovane regista campano con alle spalle esperienze nel campo della pubblicità, del videoclip e del teatro, Il mese di giugno è un piccolo racconto dalle atmosfere sospese e rarefatte, che lascia in bocca un sapore amaro. Il pretesto è l’incontro tra un anziano ristoratore e una coppia di coniugi, che a seguito di un evento imprevisto e sconcertante si trovano a discutere sul conto di un pranzo faraonico. L’input narrativo è tuttavia funzionale, per il regista, ad aprire un discorso più vasto e complesso sul confronto tra generazioni, luoghi, modi di vivere e di pensare. La particolare attenzione alla composizione delle inquadrature richiama l’eleganza raffinata e quasi ieratica di certe sequenze sorrentiniane, mentre lo sguardo attento e acuto sui vari “tipi umani” ricorda in parte il cinema di Garrone. Il mese di giugno mostra insomma molta cura dal punto di vista tecnico e, forte di un’originale intuizione a livello di soggetto, si avvale anche della presenza di un eccellente interprete nel ruolo di protagonista: Nello Mascia, che ha lavorato nel corso della sua carriera come attore teatrale con registi del calibro di Eduardo De Filippo e Strehler, e in ambito cinematografico con Gregoretti, Martone, Loy, Scola, Sorrentino e Molaioli.
l corto ha ricevuto la Menzione Speciale al 25° Fano International Film Festival ed è stato presentato al Napoli Film Festival 2013 e, fuori dall’Italia, all’interno di vari festival e rassegne in Turchia, Inghilterra, Francia, Messico, Stati Uniti e India.
Di seguito, una breve intervista al regista Valerio Vestoso:
Il tuo cortometraggio il mese di giugno rivela una grande attenzione per la composizione delle inquadrature e richiama a tratti certe atmosfere del cinema di Sorrentino. Quali sono i registi che apprezzi e che sono di ispirazione per il tuo lavoro, soprattutto dal punto di vista formale e stilistico?
Sorrentino (degli esordi) è uno di quelli che stimo di più. Amo altrettanto Elio Petri, Danny Boyle, Scorsese, De Palma, Gilliam e tutti quelli che spettacolarizzano le storie da raccontare. Il cinema ha una sua potenza narrativa che va declinata in quel senso. Altrimenti diventa giornalismo, cronaca e, onestamente, se devo essere lo spettatore di una storia comune raccontata in maniera comune, preferisco comprare un quotidiano o registrarmi una puntata della “Vita in Diretta”, anziché entrare in sala.
Come nasce l’idea del corto, o più precisamente il soggetto, per altro molto singolare?
Ho cominciato a pensare al corto guardando il gestore di un locale che frequentavo spesso. Restava tutta la sera immobile dietro la cassa. Non si muoveva di un centimetro, eppure gli sfilava davanti tutto il genere umano. Coppie, comitive, bambini, vecchi. Mi divertiva immaginare che, tra uno scontrino e l’altro, si cimentasse a spulciare con gli occhi le personalità degli altri, a giudicarli con la prosopopea dell’età. Contemporaneamente io stesso osservavo quell’umanità, soprattutto durante le occasioni di festa. Dall’unione tra le due prospettive è nato il corto. Una sceneggiatura barricata in un solo ambiente che si esplicita con un dialogo portante tra un ristoratore e una coppia di coniugi giunti a pagare il pranzo di comunione della propria figlia.
Ti sei occupato, nel corso del tempo, anche di videoclip, pubblicità e teatro. Quale è stato, a grandi linee, il tuo percorso formativo?
Il mio percorso formativo è andato di pari passo con l’esperienza. Nascere e vivere lontano dalla metropoli significa osservare la vita attraverso la lente d’ingrandimento della provincia, ma anche rimboccarsi le maniche per concretizzare quelle che rischiano di rimanere solo illusioni adolescenziali. Ho cominciato con i video di cerimonia e non appena ho avuto l’occasione di imbattermi in qualche concorso mi ci sono fiondato, sperimentando tecnica e scrittura. Tutto sta nell’incontrare persone folli almeno quanto te, che decidano di darti fiducia sia lasciandoti libero sfogo creativo (parlo dei committenti), sia sostenendoti all’interno di una troupe.
Tra i tuoi lavori, la sceneggiatura Mi dispiace devi andare ha ottenuto la menzione speciale al Premio Solinas – Talenti in Corto nel 2012. Di che cosa parla?
È una commedia brevissima, incisiva, grottesca. È la storia di una famiglia ossessionata dalle telefonate dei call-center, così turbata dalle continue promozioni da inventare un decalogo di scuse da elargire al centralinista di turno. Sarebbe divertente un giorno riuscire a realizzarla. È ambientata in un solo appartamento. Molto teatrale.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Sono in pre-produzione con un cortometraggio che girerò a febbraio. Si chiamerà Le buone maniere e vedrà protagonista Giovanni Esposito, uno strepitoso attore napoletano che incarna molto bene lo stile surreale insito nella sceneggiatura. Si procede con tante difficoltà: il mondo dei corti è un vivaio immenso per autori e cast, ma non esiste mercato di riferimento. Questo rende autoproduzione e crowfounding gli unici due pilastri interessanti. Dopodiché finirò di scrivere un lungometraggio che da tempo ho in testa. Vediamo cosa può uscirne.