Essere Gigione
Il racconto di un pezzo d'Italia trascurata dai media, ed influenzato dal mainstream nazionale, attraverso la vita artistica di Gigione
Valerio Vestoso ha seguito Il Maestro, come lo chiamano i membri della sua band, per più due anni. E il viaggio è tutt’altro che concluso: attualmente Essere Gigione è in tour per tutto il Centro e Sud Italia (sono anche arrivati a Milano) registrando spesso il tutto esaurito. Prossima tappa, l’Apollo Undici di Roma il 29 marzo, cui seguiranno i bis di venerdì e domenica perché la proiezione di giovedì è sold-out. Il nome d’arte del titolo è quello di Luigi Ciavarola, cantante pop, folk, trash, locale e nazional-popolare, agiografico e papale, un mix di tutto questo e qualcosa di più, che a partire dagli anni Ottanta riempie campi sportivi e piazze in concomitanza di sagre e feste patronali.
Due tra le cose da indovinare, quando si pensa il cinema del reale, sono la giusta prospettiva con la quale inquadrare il materiale a disposizione e la dilatazione dell’orizzonte narrativo, sia per raccontare il contesto di riferimento sia per individuare, possibilmente, suggestioni universali e condivise. Il giovane regista beneventano, che vanta un nutrito curriculum di videoclip, spot e cortometraggi pluripremiati, riesce nell’impresa di entrare in punta di piedi nella vita della pseudo-star Ciavarola guardandolo dritto negli occhi, senza celebrarlo come qualcosa che non è e smarcandosi quindi dall’omaggio emozionale (non facile dopo il lungo periodo di riprese), né ponendosi al di sopra dello stesso evitando la trappola miope dello snobismo. In fin dei conti, dopo la scoperta che, numeri alla mano, Gigione in un anno coinvolge un pubblico più numeroso di quello di Vasco Rossi, l’ora abbondante di documentario sembra rispondere con semplicità ed estrema curiosità a una sola domanda: “Ma come fa?”. Così, dopo un inizio esplicitamente dedicato ai fan (l’ingresso trionfale in un paese come tanti, l’ingorgo tra la folla regolato dalla pro-loco e infine il concerto), emerge il ritratto di un eroe popolare che non va mai per il sottile, che prima di esibirsi aspetta paziente in camerini di plastica e lamiera, che alla fine si concede il lusso di una villa con palme e piscina ma che, prima di tutto, vive la musica senza pause con i piedi operosamente ancorati a terra (“Non è che sono un artista che lavora una volta alla settimana: io lavoro tutti i giorni”). Vestoso tratta con estremo e divertito rispetto non solo Gigione, ma anche e soprattutto il suo pubblico, col quale Ciavarola si intrattiene, scherza, al quale si concede per regalare gioie umanissime (ottima e senza alcuna retorica la digressione della visita alla ragazza sulla sedia a rotelle, ex ballerina, sopravvissuta a un tremendo incidente d’auto). La macchina da presa fluttua sotto il palco e cattura i primi e primissimi piani della provincia italiana, quella dagli Appennini in giù, svelandone lo scenario culturale attraverso i macro-segmenti con cui divide il film, ovvero religione, cibo, (inteso come occasione di festa e convivialità) e famiglia. Così come, infatti, il regista dedica spazio anche ai figli del protagonista, anch’essi avviati alla stessa carriera, allo stesso modo si concentra su un fandom trasversale e intergenerazionale che in provincia resta e si diverte, abituato ai doni (Gigione è uno di questi) che la propria terra ha da offrire. Essere Gigione finisce così per raccontare un pezzo d’Italia trascurato dai media e tuttavia influenzato dal mainstream nazionale e anglofono – si pensi alle canzoni che scimmiottano i successi internazionali e quelle dedicate a Papa Francesco. Proprio come i pesci che nuotano (felicemente?) inconsapevoli in un acquario, dentro il quale hanno tutto, irrimediabilmente sedotti dal mondo oltre il vetro, enorme e inaccessibile.
Vestoso, infine, che firma anche il montaggio, ben orchestrato e dal ritmo essenzialmente musicale (anche grazie al sound design di Federico Tummolo) non si sottrae dal far combaciare l’epilogo con la stanchezza della star (classe 1947), a un passo dal diventare ormai una “vecchia gloria”, salvo poi ribadirne l’immortalità - se non proprio del personaggio Ciavarola, di sicuro di un modo di intendere la musica e, più in generale, il divertimento, che non si era mai visto sullo schermo.