Il mondo di Nermina
Un documentario che racconta un tentativo di ricominciare: nei luoghi della guerra, guardando oltre la guerra
Bosnia, anni Novanta. Nermina si salva dal massacro che uccide molti degli abitanti del suo villaggio. Chi sopravvive fugge: impossibile restare nel luogo dell’eccidio, dove si respira solo aria di morte, dove le ferite non potranno mai guarire. Eppure, quel luogo devastato, fatto di case diroccate sperse in una campagna sporca e malinconica, quel luogo di ricordi angosciosi e brucianti, è l’unico che sia possibile chiamare “casa”. Per questo la donna - a distanza di anni e ormai madre di tre figli - decide di tornare, assieme ad altre due famiglie originarie dello stesso villaggio.
Vittoria Fiumi, giovane regista e produttrice italiana laureata in Antropologia Visuale all’Università di Manchester, ha già alle spalle due cortometraggi documentari; Il mondo di Nermina, presentato a Visions du Rèel a Nyon, è arrivato finalista al Premio Solinas e ha ricevuto il Premio Corso Salani al Festival di Trieste. L’approccio registico si concretizza in una messa in scena che fa percepire la realtà come non manipolata, e registrata in dettagli minimali, ora usuali e ripetitivi e ora tutti contingenti e occasionali di una quotidianità ancora riconoscibile come intatta e autentica: preparare la sfoglia, mungere le mucche, giocare nell’acqua di un fontanile.
E’ con estremo tatto e particolare discrezione che questo lieve documentario spalanca abissi terribili su un passato nemmeno troppo lontano, che appartiene a luoghi dai quali ci separa in fondo solo una stretta striscia di mare. Ma le immagini più calde e più urgenti del film non sono quelle, limpide e piane – seppure non esenti da un senso inevitabile di desolazione e amarezza – girate dalla regista; sono invece le sequenze, abilmente disseminate qua e là all’interno del documentario, che un gruppo di bosniaci ha girato due anni dopo il disastro, tornando nei luoghi noti ormai trasformati e stravolti dalla guerra, per documentare ciò che la violenza cieca di quei momenti si è lasciata alle spalle: una campagna che trasuda dolore, tristezza, sgomento, disseminata dei resti di case date alla fiamme, case appartenute ad amici e conoscenti di chi tiene in mano la telecamera. Ma chi ha girato e commenta con stupore quanto vediamo – immagini sgranate, incerte, fugaci – resta senza volto né nome: si tratta di un filmato anonimo, recapitato a una rifugiata bosniaca residente in Danimarca, insomma di materiale d’archivio che Vittoria Fiumi chiama in causa per dare corpo e colore a una tragedia che nel presente è solo evocata e ricordata, e tuttavia incombe su questi luoghi, dove si cerca in ogni modo di opporre una nuova, rassicurante “normalità” all’eco inestinguibile di una totale e incomprensibile barbarie.
Il mondo di Nermina è un piccolo film, agile, asciutto, ma è uno di quei film che, a prescindere da come venga messo in scena, trarrà sempre – e giustamente – forza da cosa viene messo in scena. Quella che vediamo è la punta di un iceberg, il peggio (il passato) è sommerso: ma l’equilibrio per ricominciare è difficile e precario, perché è arduo mediare tra il dovere di avere piena consapevolezza delle cose accadute e la necessità impellente di superarle per non venirne travolti e schiacciati.