Imma

Imma ovvero la fenomenologia del fallimento

L’errore più grave che si possa commettere avvicinandosi al cinema del reale è quello di voler liquidare precipitosamente le intenzioni dell’autore. Difficile che un documentario indipendente ammesso a un festival (lo svizzero Visions du Réel) espliciti attraverso l’intervento diretto del regista un punto di vista preciso e univoco. Se consideriamo Imma di Pasquale Marino come un ritratto d’artista in lotta coi mulini a vento dello showbiz, ciecamente schierato con gli ideali naif della sua protagonista, non solo sbaglieremmo le traiettorie dell’inquadratura ma ci perderemmo le chiavi per accedere a una riflessione-sineddoche prima sull’industria dello spettacolo contemporanea e poi, di riflesso, su una tendenza sociale diffusa che riguarda l’ingresso nel mondo del lavoro. Lo scarto tra ciò che il film sembra essere e ciò che effettivamente è resta avvolto da una nebbia di ambiguità difficile da diradare; siamo certi tuttavia che Marino sia riuscito a distillare l’essenza di una condizione esistenziale più comune di quanto si immagini.

Imma di Ninno arriva a Roma in cerca di fortuna come attrice. I primi (e tanti) soldi che spende sono a favore di una cartomante in cerca di buoni auspici. Il traffico all’esterno della stazione Termini sembra complottare contro di lei. Durante la conversazione con un agente immobiliare suo amico che le mostra una casa da prendere in affitto, troppo costosa, siamo in grado di conoscerne il passato e la svolta della vita, ovvero la vittoria di Uno, due, tre… stalla!, reality show del 2007 tra i più trash della televisione italiana. Lo sappiamo, la fama dura poco e bisogna avere le doti giuste per rimanere sotto i riflettori. Ad eccezione dei i viaggi in Africa e in India dopo aver cavalcato l’onda del successo, il mediometraggio sembra seguire con primi e primissimi piani non solo il periodo nella Capitale, ma una routine frustrante che dura da anni.

Le chance concesse da giovani autori di teatro sperimentale, i provini andati malissimo con quelli affermati (Massimo Gaudioso), le chiacchierate con due sceneggiatori sul sogno nel cassetto di scrivere un film e sulla mancanza di prospettive, la passione per la poesia e la fascinazione per un mondo misura d’arte fanno di Imma un personaggio tragico senza il minimo talento, irrimediabilmente destinato a perdere. Se abbiamo la sensazione che il regista intraveda nella donna qualcosa di più, l’eventuale barlume di capacità incomprese, è solo per l’affetto che si può provare nei confronti di chi ce la mette tutta per inseguire una passione senza avere un briciolo di raziocinio. Solo in questo senso possiamo intendere la protagonista come un’eroina, per la testardaggine di cercare la felicità scontrandosi continuamente col fragore della porta in faccia.

Con un ottimo uso della musica che accentua i climax e i contrasti tra il sotto-testo e la messa in scena, quest’ultima capace di catturare scenografie che sembrano provenire dal cuore romantico dell’aspirante attrice, Imma racconta la fenomenologia del fallimento a partire dalle false illusioni alimentate dalla tv spazzatura e dall’incapacità di accettare i propri limiti. Le opportunità di cui la donna non godrà mai sono le stesse di milioni di giovani pieni di velleità artistiche desiderosi di sfondare nel cinema, nella letteratura o nell’arte in generale. Marino ci ricorda con fare indulgente che le emozioni e il benessere psico-fisico derivanti dalla scrittura e dalla recitazione non bastano per farne una professione e nella storia della Di Ninno, che sembra sacrificare tutto per realizzare sé stessa, compresa l’educazione della figlioletta che si porta dietro, trova un personaggio capace di incarnare i disvalori del nostro tempo.

Autore: Paolo Di Marcelli
Pubblicato il 17/12/2017

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