È Natale e, come consuetudine vuole, i cinema italiani si preparano per le esigenti feste natalizie. Cine-panettoni e film d’animazione affollano le sale dei nostri cinema. Che l’incantesimo della commedia, ahimè, nostrana e natalizia abbia inizio. Ci riprovano tutti, si ripresentano tutti, risorgono tutti. A natale mi sposo recita il titolo del nuovo (sic!) film di Boldi, o meglio potremmo passare un natale post-mondiale in Sud Africa, nel caldo emisfero boreale con i soliti Neri Parenti (Natale in Sudafrica), oppure potremmo essere affascinati dalla Bellezza del somaro e, in questo caso, garantisce Castellitto. E se considerassimo il natale magico ecco che ci viene in aiuto l’ultimo film della saga di Harry Potter, se invece, lo volessimo in 3D non ci sarebbe da preoccuparsi, la DreamWorks ci aiuterebbe con le avventure di Megamind, tutto questo passando per il terzo capitolo della saga fantasy di Le cronache di Narnia. Quanti bravissimi comici nostrani strappati dai palcoscenici italiani, quanti somari transumanati dalla televisione al cinema, a meno di un mese dalla morte del maestro della commedia all’italiana, l’attuale commediola italiana la fa da padrone sugli schermi di tutta la nostra penisola. Ah! Quasi dimenticavamo, torna Paolo Genovese con il suo cine-panettone, coadiuvato dal trio comico per eccellenza, Aldo Giovanni e Giacomo, esce nelle sale La banda dei Babbi natale. A due anni di distanza dal suo ultimo film (Questa notte è ancora nostra) e, dopo esser tornato alla regia televisiva con la serie
Amiche mie e, nell’attesa del suo prossimo film Immaturi, nelle sale italiane per marzo, il clima cinematografico natalizio ha voluto includere, nei titoli in uscita, anche un regista, o meglio, un autore di commedie come Paolo Genovese. Disarcionandolo dalla assidua collaborazione registica con Luca Miniero (tra l’altro, quest’ultimo autore di una buona commedia Benvenuti al Sud, che ha fatto registrare ottimi incassi al botteghino), il regista romano si fa assorbire dall’Incantesimo natalizio. Ma torniamo indietro di dieci anni, torniamo al primo film della coppia Genovese-Miniero, torniamo nel 2001 quando, nell’Incantesimo della commedia il natale non trovava posto, quando non era addobbato a festa, non aveva filari colorati, palle natalizie e nessun sapore di panettone, anzi, non poteva avere nessun riferimento al nord Italia cioè, quando l’Incantesimo era solamente Napoletano.
Assuntina nasce in una famiglia napoletana verace: il padre (Gianni Ferreri) è il proprietario di un banco di pesce che gestisce insieme al suo compare; la madre (una bravissima Marina Confalone) è donna e, come tradizione vuole, fa la casalinga. Assuntina nasce, compie un anno e pronuncia la prima parolina ma non è ne “mammà” ne “papà” ma, ciò che riesce a pronunciare è “mami” e “papi” in perfetto dialetto milanese. Tragedia! Nella famiglia Aiello, napoletana da quattro generazioni, non può e non deve nascere una bambina milanese. La bambina cresce in casa, lontano dai contatti interpersonali con i propri compagnucci di scuola, lontano dal parentato, reclusa tra le quattro mura domestiche. Rifiuta il capitone, il babà, le sfogliatelle, ciò che preferisce è il risotto alla milanese, non prega San Gennaro ma si rifugia tra il soporoso velo di San Ambrogio. Gli stratagemmi che la famiglia adotta per proferirgli una “napoletanità” sono innumerevoli ma si risolvono tutti con un nulla di fatto. La si trasferisce dagli zii di Torre Annunziata, per una forzata rieducazione partenopea ma, quando torna, il sacrilego dialetto non è scomparso cosi come le abitudini e, in più, è incinta ma nessuno sa chi è il padre. Ennesima tragedia!
Ancora Genovese-Miniero alla regia, ancora Gianni Ferreri come protagonista. Svestiti i panni dell’ottuso brigadiere nel pluripremiato cortometraggio Piccole cose di valore non quantificabile (1999), l’attore feticcio della coppia registica veste i panni che meglio gli appartengono. Un padre napoletano, un pescatore e pescivendolo, una veracità partenopea ed una sconfitta personale. Assuntina, ormai anziana, si rivolge in macchina e ci racconta la sua magica storia, apre il film, comparirà ad intervalli all’interno del racconto, e lo concluderà come una fiaba raccontata da una nonnina. La bambina non parla napoletano, “se non parlasse sarebbe meglio…diciamo ai parenti che è muta”, questo uno dei tanti stratagemmi per nascondere l’offesa, la madre la accetta ma, relegata dal cliché maschile ad amministratrice del focolare domestico, non può parlare, non può decidere: è donna. Il padre è scioccato, stanco, svilito, toccato nell’onore napoletano, costretto a letto dalla notizia della gravidanza peccaminosa della figlia durante l’esilio di Torre Annunziata e infine salvato da quello stesso bebè in arrivo. Un film costruito su un soggetto geniale, un’idea funzionale alla caratterizzazione di costume di un’intera società. Incantesimo napoletano è un film dove si ride molto ma non solo, dove la risata è scaturita più dalle invenzioni derivanti dall’originalità del pretesto e del contesto che da particolari lazzi comici fini a se stessi. Una commedia, certo, che non fa riflettere più del dovuto, dove la tragicità scaturisce per di più dal retrogusto amarognolo della situazione che dalla critica di costume. Un’opera forse troppo diluita, volutamente stiracchiata, in grado di riempire un’ora e un quarto di film che, si sarebbe potuto ridurre, nella pienezza della sua resa cinematografica, alla lunghezza di un riuscitissimo medio metraggio. Allo stesso tempo, si percepisce un lavoro di messa in scena – a volte troppo schiavo delle precedenti operazioni nel campo dello spot pubblicitario – uniforme e caratterizzante ed un’intenzione registica funzionale al racconto. Si procede nel racconto come un’inchiesta giornalistica, con numerosissimi richiami allo spettatore, chiamandolo in causa, interloquendo con lui, guardando in macchina ed esponendo le idee e i resoconti della narrazione attraverso i punti di vista dei familiari, dei parenti, della stessa Assuntina anziana. In questo modo si procede nel racconto attraverso un’esposizione pratica del narrato, metanarrativa e comunque molto funzionale ad uno stile registico ben delineato e sottolineato. In poche parole: una bella fiaba raccontata attraverso situazioni da sit-com che rendono ancor di più magica l’atmosfera del racconto. Per concludere: una bella commedia all’italiana che il grande maestro scomparso avrebbe visto volentieri.