Incanto
L'ultima opera del regista Claudio Romano è un ritorno all'osservazione libera ed estatica delle brecce di poesia intessute al quotidiano
Su tracce di cinguettio, brezza e gorgogliare di rivoli d’acqua, s’apre il film dal nero con una citazione di Rousseau, tratta da "Passeggiate solitarie". È l’elogio della solitudine e della contemplazione che il filosofo, sul finire dei sui giorni, maturò dall’ozio prolifico di sentimenti espansi tra individualità e creato. Salvezza e lascito di pensiero, antidoto contro il rumore mondano di una civilizzazione degenerante, da rifondare sull’educazione all’ascolto in coscienza della propria intimità connessa al sussurrare del cosmo. Una nuova ecologia esistenziale che pone l’uomo in presenza di sè ma a distanza dell’altro, perchè insorga e goda di una insospettabile quiete, epifania. Incanto. Così titola l’ultima opera del regista Claudio Romano, autore di cinema minimale e indipendente, etico perchè ponderato e "povero" perchè scavo introspettivo e del reale, anzichè sovrastruttura visiva, anche quando estremamente speculativo e sperimentale come nel precedente Ananke. Cinema non localizzabile , ma animista in opposizione alla cultura antropocentrica, che ingombra e soffoca la poesia ancestrale che può darsi in una "semplice(?)" rifrazione di luce su specchio d’acqua e nel sublime fragore di un acquazzone estivo, che per fortuna da millenni ancora tutto tace. Opera di montaggio che gioca col contrappunto musicale, ora extradiegetico ora d’ambiente, purché lirico, su chiome d’alberi al vento, spezzati drasticamente dal baccano routinario. Esercizio di messa a fuoco che svela dietro il vetro sporco della finestra i gesti meccanici della quotidianità casalinga, i panni stesi su cui incombe il cielo nuvoloso e spiazzante in sovrapposizione, l’illusione prospettica di un palmo , ombra in controluce, a chiudere l’estasi celeste nel solo proprio pugno. Pretesto, la ricerca dichiarata dell’ispirazione per un film, una piccola storia per cui si prepara l’obiettivo, focalizzando e sfocando se stesso, mano e volto di chi lo aziona, soggetto oggetto riflesso e schermato. Latente, l’eco del magistero poietico di Piavoli , di voler far largo nella vista alle visioni, fantasie invisibili ad occhio nudo, di sagome modulabili, micromorfosi e microcosmi trascurati dal gigantismo ed egocentrismo umano. Culmine nei topoi dell’anziano al cospetto del tramonto e della notte limpida, il sopraggiungere danzante, melancolico e nostalgico, della festa di piazza.
Ma quanto è complessa la semplicità di questo fantomatico sguardo scevro e acuto gettato sul giorno! Quanto è difficile ravvisare l’una nel frangente e l’altro nel volgere fugace dello sguardo stesso? Quanto è difficile non perdere l’incanto di una barca a vela in lontananza, che bianca solca l’orizzonte, se dinanzi all’attenzione, in scala di piani, si para il giganteggiare dell’uomo e il suo armeggiare stagionale? Come non perdere lo sfiorarsi d’anime in tensione, l’una risposta all’interpellarsi dell’altra, sotto la calura consumistica e il pittoresco ordinario? La contemplazione richiede davvero la solitudine elitaria del Rousseau in esergo, per essere goduta o quanto meno l’insonorizzazione dell’intimo che si amplifica implodendo? È una provocazione quella che pare rimembrare l’autore al pubblico paziente che vorrà prestarvi attenzione. Al pubblico di personalità che, a suo stesso dire, " al cospetto di un film, deve fare i conti con se stesso e trarre dal film e da se stesso qualcosa che vale solo e sempre per se stesso".
Perché il prodigio è nel preesistere e persistere di poesia nelle latitudini dell\'esser-ci quotidiano.
Disattenzione
Ieri mi sono comportata male nel cosmo. / Ho passato tutto il giorno senza fare / domande, / senza stupirmi di niente. / Ho svolto attività quotidiane, / come se ciò fosse tutto il dovuto. / Inspirazione, espirazione, un passo dopo / l’altro, incombenze, / ma senza un pensiero che andasse più in là / dell’uscire di casa e del tornarmene a casa. / Il mondo avrebbe potuto essere preso per / un mondo folle, / e io l’ho preso solo per uso ordinario. / Uno dopo l’altro avvenivano cambiamenti / perfino nell’ambito ristretto d’un batter / d’occhio. / Le nuvole erano come non mai e la pioggia / era come non mai, / poiché dopotutto cadeva con gocce diverse. / E’ durato 24 ore buone. / 1440 minuti di occasioni. / 86.400 secondi in visione. / Il savoir-vivre cosmico, / benché taccia sul nostro conto, / tuttavia esige qualcosa da noi: / un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal / e una partecipazione stupita a questo gioco / con regole ignote.
W. Szymborska