Infidus
Giulio De Santi mette da parte i futuri distopici e si concentra su un presente ancor più grigio
Gli anni Dieci sono il decennio della Necrostorm. Fondata già nel 2009 da Giulio De Santi, la compagnia mette in commercio il primo film, Adam Chaplin, nel 2011. Da allora ha prodotto altri cinque lungometraggi e distribuito un sesto, Judy. Fatta eccezione per quest’ultimo, l’elemento comune di ogni opera Necrostorm è l’elevata quantità di sangue e frattaglie. Altre caratteristiche distintive sono il bassissimo budget e l’abbondante fantasia. I film diretti da Giulio o Emanuele De Santi non scimmiottano lavori altrui, non si adattano alle mode né si pongono dei limiti. Nel guardarli si avvertono una libertà e una consapevolezza non comuni nel panorama underground, men che mai in quello mainstream. Neppure la penuria di denaro sembra ostacolare le scelte dei realizzatori che ricorrono al digitale come elisir miracoloso. Va da sé che uno spettatore smanioso di una ricerca estetica tendente al perfezionismo difficilmente comprenderà e apprezzerà un qualsiasi titolo targato Necrostorm. Chi invece ha una minima idea di quel che significhi lavorare in totale indipendenza non si ridurrà a cercare il pelo nell’uovo per un narcisistico bisogno di sentirsi intelligente, evidenziando i difetti altrui. Piuttosto ammetterà che Giulio De Santi è tra i pochi a condurci in mondi nuovi, spesso futuribili, trasformando la propria immaginazione in immagine filmica con un pugno di euro. Un modus operandi colmo di entusiasmo e privo di pudori da fare invidia ai protagonisti di Be Kind Rewind.
Con Infidus il regista abbandona gli elementi fantastici e le consone luci fluorescenti per soffermarsi sul presente cinereo della cronaca nera. De Santi sceglie due strade per rappresentare in video la violenza tipica del nostro quotidiano. La prima ha i colori piatti della ripresa amatoriale, la registrazione del vero priva di ogni intervento artistico e per questo pornografica. La seconda opzione è il predominante bianco e nero, talora grigio, che connota con estremo realismo la disperazione della periferia urbana. Ciò che resta veramente a colori sono solo i ricordi, elementi non tangibili e totalmente rielaborabili; in definitiva l’unico materiale soggetto a un intervento estetico in un film che narra una storia non vera ma verosimile. La trama segue i percorsi di due personaggi che fanno perno su un giro di snuff movie e hanno come motore la vendetta. Mungus60 è il nickname di un uomo comune che si serve di una chat per rintracciare un collezionista nonché committente delle famigerate morti filmate. Barabba è invece un assassino che ottenuta la libertà vorrebbe trovare la redenzione promessa al padre. Nel primo caso la giustizia di Mungus60 serve a lenire il dolore per la perdita della compagna. La legge del taglione ha una funzione anestetizzante e il contrappasso trasforma il predatore in preda. Barabba invece accetta l’impossibilità di vivere una vita tranquilla quando, uscito dal carcere, scopre che il fratello ha seguito le sue stesse orme producendo anch’egli video snuff. La purificazione dell’ex detenuto può avvenire solo attraverso l’eliminazione di tutto ciò che ha contribuito a creare, sentendosi diretto responsabile per la formazione traviata del fratello.
Se non si conoscesse così poco di Giulio ed Emanuele De Santi si potrebbe scorgere in questa metà della narrazione una nota biografica. Indubbiamente Infidus si presta a una lettura metalinguistica. Nella finzione i protagonisti filmano una violenza reale, nella realtà gli autori inscenano una violenza finta. La motivazione alla base è la stessa per entrambi: produrre denaro. Difatti le vittime di Barabba hanno una sola giustificazione alla loro spregevole attività, avere ottenuto un florido commercio. In un contesto di totale emarginazione e assuefazione al sopruso il profitto economico diventa l’unica possibilità di riscatto, avulsa da ogni morale.
Infidus è un noir atroce, non ha nulla della componente malinconica tipica del genere. Resta invece il destino fatale che pende come una spada di Damocle sui protagonisti, perdenti fin dal principio. Infidi sono tutti i personaggi, non vi è distinzione tra traditori e traditi. Un senso di sfiducia universale pervade l’opera. Il pessimismo si traduce in un rifiuto di ogni appagamento sensoriale. L’estetica televisiva e parahollywoodiana data in pasto alle masse trova nel film di De Santi la sua degna antitesi. Fin dalla scelta del cast si avverte la volontà di non edulcorare un angolo di mondo ostinatamente ignorato da chi ci vive accanto. Nella sua feroce rappresentazione del reale, Infidus coglie lo spirito del neorealismo brutalizzandolo. Indubbiamente il romanzo criminale di De Santi mantiene i limiti di un cinema di intrattenimento privo di investitori ma allo stesso tempo offre un risultato spontaneo e viscerale, invisibile altrove.