Gli equilibristi resiste in sala, conferma che la qualità alle volte può pagare persino in Italia?
IVANO: Il film resiste perché insieme ai produttori lo stiamo difendendo. Io tento di essere spesso presente in sala. Tento di andare personalmente anche in altre città a parlare col pubblico. Tentare di trovare un contatto. Oltre a piacermi a livello umano, è un modo per invogliare le persone a venire al cinema.
VALENTINA: Credo che in questo caso siamo stati fortunati. Molti bei film di qualità in sala non riescono neanche ad uscire. Ma la qualità paga, paga sempre, anche fosse solo per la personale soddisfazione di aver fatto un lavoro buono, in cui si crede.
Il film è stato accolto magnificamente a Venezia ed ora sta ricevendo buon trattamento da un pubblico sempre più lobomizzato dalla commedia: secondo voi i riscontri del botteghino sono indice di assuefazione o di scarsa fiducia dell’industria nei confronti dei suoi fruitori?
IVANO: Conosco un po’ il mercato francese. Lì “coltivano” il pubblico del futuro. Ai festival vengono invitate tutte le scuole. I ragazzi sono abituati fin da giovanissimi a vedere film di un certo livello. Anche difficili, di non immediata comprensione. Cosa stiamo facendo noi? Nulla. Affidiamo alla buona volontà delle famiglie il far vedere o meno un certo tipo di cinema (ma si potrebbe dire anche di teatro o di musica) ai propri figli. Così fruiranno dell’arte i figli di coloro che hanno fruito dell’arte. Mentre questa dovrebbe essere alla portata di tutti.
VALENTINA: Ci è stata proposta per anni una realtà edulcorata. Una finta realtà. Film che descrivevano famiglie inesistenti, città e problematiche inesistenti. Per il pubblico era più facile. Niente problemi. Niente pensieri: tutto va bene! Ci è stato detto spiegato e rispiegato che esiste un cinema per intellettuali, che vanno a vedere in pochi, che è noioso e pesante ma che per la massa c’era questo o quel prodotto che invece era facile, divertente, il prodotto da evasione. La vita è già difficile perché andare a vedere qualcosa che ci deprime? La realtà è che per anni anche la massa è andata a vedere i film di Scola, di Monicelli, di De Sica e non si è mai annoiata. C’è da dire che era un’epoca in cui alla televisione si parlava ancora italiano…
Gli equilibristi è un film di valore, così come lo era La bella gente. Come si può spiegare la differente sorte cui i due lavori sono andati incontro?
IVANO: Solo in un modo: i produttori non erano gente seria. Non era nei loro interessi far uscire il film e l’hanno quindi regalato ad un distributore inesistente. Per fortuna la Francia ne aveva già comprato precedentemente i diritti per quel territorio e quindi lì è stato in sala per quattro mesi.
VALENTINA: quando dalla Francia hanno chiamato Ivano dicendo che avevano visto il film, gli era piaciuto e lo volevano distribuire, abituati all’Italia, pensavamo ad uno scherzo.
Abbiamo definito il film, un lavoro “sulle sconfitte, di quelle a tavolino però. Non occorre perdere il posto fisso per soccombere, non serve avere un rapporto conflittuale con l’ex compagno per capitolare; Ivano De Matteo e Valentina Ferlan scrivono di uomini qualunque, non ci sono emarginati nelle loro parole che si son fatte immagini”. Siete d’accordo con questa lettura o c’era altro nelle vostre intenzioni?
IVANO: Il film parla della piccola borghesia. Quella che pensava di vivere bene. Di avere certezze e futuro. Quella che contava sulla famiglia e sul lavoro. È come se l’avessero gettata di colpo in mezzo al mare dicendo: ci siamo sbagliati, pensavamo di navigare su una nave da crociera invece era una zattera. Ora arrangiatevi. E se non riuscissimo a risolvere un paio di cosette… chissà cosa accadrà quando tra vent’anni circa moltissimi cinquantenni di adesso si ritroveranno ad un’età in cui non riescono più a lavorare e molti di loro saranno senza pensione. Qualcuno ci sta pensando? A carico di chi staremo?
VALENTINA: Alcuni ci hanno criticato dicendo: ma il protagonista non ha un amico? Ma la moglie non si accorge della sua situazione? Ma possibile che non aveva un gruzzolo in banca? Credo sia il parere di privilegiati. Personalmente credo che gli amici (anche i migliori) ti possano ospitare in casa per una settimana, forse due… una moglie ha tanti di quei problemi rimasta sola, col lavoro e i figli da gestire e la casa da pulire e le bollette da pagare e le riunioni a scuola e l’assemblea di condominio che non ha neanche il tempo di riflettere perché si addormenta prima da quant’è stanca. Se lui le dice che tutto va bene credo sia ben lieta di crederci. Il gruzzolo in banca poi non ce l’ha davvero più nessuno, perlomeno nessuno di noi.
“Il cinema della crisi” lo chiamano (e a guardare indietro, in direzione della grande commedia e del “Cinema del boom”, affiora la nostalgia), quasi a sottendere una temporaneità della situazione, a voler dire “le cose vanno male, ma passerà“. Il vostro film parla di una realtà che ha tutti i crismi della precarietà, così radicata da avere difficoltà a immaginarne la fine. Vi ritrovate in questa etichetta?
IVANO: Questi anni sono pericolosissimi. È l’Italia che sta camminando su un filo. Sono ormai quasi settant’anni che non c’è una guerra sul nostro territorio ma credo ci siano grosse problematiche sotto sotto che hanno difficoltà ad emergere e di cui sappiamo poco o nulla. Dovremmo tutti renderci conto del filo su cui stiamo camminando e stare molto più attenti. Non siamo mai stati un popolo ricco e statalmente al sicuro, esserne a conoscenza ci aiuterebbe. Non sappiamo dove stiamo andando, forse l’uomo non l’ha mai saputo. La difficoltà è che sembriamo aver perso quell’istinto che ci portava a fiutare e distinguere il bene e il male. È l’epoca del grigio. E nel grigio è difficile fare delle scelte.
VALENTINA: Sono d’accordo. Serviva passassimo cinquant’anni di storia a comperare. Ora stanno arrivando i conti e forse dovremmo renderci conto che se in molti hanno rubato, in moltissimi abbiamo speso male. Speso con soldi che non avevamo in tasca. Abbiamo rivolto tutte le nostre attenzioni all’inutile e scordato ciò che è necessario. Abbiamo l’Iphone ma compriamo magari per spendere meno mozzarelle pakistane al discount.
Un’ultima sull’industria cinematografica italiana: esiste?
IVANO: Non credo esista una vera “industria cinematografica” ma so che c’è un cinema che sta tentando di emergere con le unghie e con i denti. Ci sono sceneggiatori che scrivono storie nuove, registi che le vogliono dirigere e attori che le vogliono interpretare ma ci vuole però una sinergia di forze. Bisogna che ci credano anche i produttori, i distributori, gli esercenti. Il cinema è il lavoro di molti. Da soli non si fa nulla. Mettiamo in piazza film che incasseranno tanto, commedie divertenti o spensierate storie per adolescenti, ma facciamo anche “altro” che forse incassa meno ma che bisogna fare per far continuare l’arte del cinema perché non sia tutto solo intrattenimento. Per quanto riguarda noi, fondamentale per il mio lavoro è essere fedeli a se stessi, alle proprie idee, lavorare con dignità, non vendersi per denaro.
VALENTINA: È un lavoro da amare. Bisogna crederci. Pensare di avere qualcosa da dire e avere il coraggio di esporsi e dirla. Non creare pensando fin dall’inizio al consenso o al plauso. Fare un mestiere di sostanza e non di forma.