Emily the Criminal
John Patton Ford esordisce con un film che è manifesto generazionale, in cui i canoni del crime si coniugano alla critica sociale mentre un ritmo forsennato amplifica il disagio esistenziale della protagonista.
Si apre con un colloquio di lavoro Emily the Criminal (in Italia distribuito direttamente su piattaforma con il titolo I crimini di Emily). Un colloquio durante il quale la Emily del titolo (Aubrey Plaza) viene messa alle strette, costretta ad ammettere di aver mentito riguardo il proprio passato. Anziché chinare il capo smascherata, però, la protagonista reagisce passando all’offensiva, accusando il proprio interlocutore di averla ingannata. Basta questa scena per apprendere tutto ciò che occorre di lei: una donna con un disperato bisogno di un lavoro con cui pagare un cospicuo debito studentesco, ma non per questo disposta a farsi sottomettere dalle ingiustizie, verso le quali è anzi sempre pronta a reagire. Nel corso del film dell’esordiente John Patton Ford, Emily vivrà diversi di questi momenti, dimostrandosi essere un personaggio tutt’altro che in balia degli eventi, carica di quel rancore e di quella voglia di rivalsa che sembra serpeggiare sempre meno silenziosamente tra la sua (e non solo sua) generazione. Per via del suo debito e in cerca di soldi, Emily finirà con l’avvicinarsi a un giro di frodi realizzate con carte di credito false. Questo diventa ai suoi occhi l’unico modo per ottenere denaro facile in poco tempo e con l’aiuto di Youcef (Theo Rossi, il Juice di Sons of Anarchy), gentile e affascinante truffatore, si introdurrà sempre di più in questo ambiente, confrontandosi con i pericoli che gli sono propri. Il racconto che Ford costruisce per lei la vede dunque continuamente protagonista di situazioni al limite, nelle quali Emily deve scontrarsi tanto con l’illegalità delle proprie azioni quanto con interlocutori altrettanto minacciosi. Circondata dunque da un contesto apparentemente per soli uomini, Emily non è certo immune alla paura ma è consapevole di non avere più alternative. Potrebbe uscire quando vuole dal giro in cui è entrata, ma avendo conosciuto il demoralizzante mondo del lavoro precario, sceglie di rimanervi.
Emily non è disposta a fare un passo indietro, tanto che al regista non resta che seguirla nella sua discesa verso gli inferi, rendendo però sempre evidenti le incertezze e le paure della protagonista attraverso scene anguste, inquadrature tremolanti e primi piani che sembrano escluderla dal contesto che la circonda. Più il film va avanti, più diventa complesso il rapporto che si può instaurare tra lo spettatore e lei. Come non empatizzare con un personaggio tanto vessato dalla società e in cerca di una propria redenzione? Come empatizzare invece con le azioni che le vediamo compiere? Emily, come già accennato, incarna rabbia e frustrazione di una generazione e in quanto tale non possiamo che apprezzarla; tuttavia spaventa quanto poca umanità resti di lei nel corso della storia.
Per la critica sociale proposta e la degenerazione della protagonista dettata dalla necessità e dall’opportunismo, il film di Ford sembra richiamare in più momenti il capolavoro dei fratelli Dardenne, Rosetta, Palma d’Oro al Festival di Cannes nel 1999, nonostante il racconto segua percorsi estetici ben diversi. Emily the Criminal infatti si inserisce per buona parte nel canone del crime thriller, da cui trae il suo aspetto più ruvido e deciso, salvo poi discostarsene in cerca di soluzioni meno scontate. Altrettanto imprevedibile, del resto, è Emily stessa, capace di reagire anche quando tutto sembra perduto; come lei, il film offre continui cambi di rotta, che permettono a Ford di puntellare il racconto con più punti di vista.
L’esordio di Ford è di quelli che difficilmente lasciano indifferenti. Che sia per l’attualità della tematica proposta, per i risvolti cupi e cinici che il racconto intraprende, o per la grande presenza scenica di Aubrey Plaza, il film sfoggia una notevole forza attrattiva e lascia immaginare un futuro particolarmente interessante per il suo regista, capace di coniugare con grande intelligenza problematiche sociali a un racconto di genere, traendone un film di grande valore.