Gotti - Il primo padrino

di Kevin Connolly

Un gangster movie dalla morale ambigua, un progetto spersonalizzato e confuso a cui non basta l’impegno ormai stanco di John Travolta.

Gotti il primo padrino - recensione film

L’esaltazione romantica del fuorilegge, in lotta per affermare il proprio sistema di valori contro uno Stato tirannico, si è ampiamente inscritta nel gangster movie a partire soprattutto dalla fine degli anni Sessanta. Si sa, il crimine affascina, ma una mitizzazione delle sue istanze libertarie rischia anche di rivelarsi un’arma strumentalizzante, quando non supportata dalla giusta sensibilità. È quello che accade a Gotti - Il primo padrino. Reduce da un tortuoso iter produttivo cominciato nel 2010, dopo l’avvicendarsi di diversi registi e interpreti, tra cui originariamente Al Pacino e Joe Pesci, il film arriva a Cannes e nelle sale nel 2018 con tutta la flagranza di un progetto spersonalizzato e confuso, infarcito da una retorica sdrucciolevole. Affidato alla regia del semisconosciuto Kevin Connolly e al volto gonfiato da trucco e lifting di John Travolta, il film ripercorre una parte della vita di John Gotti, boss della potente famiglia newyorkese Gambino.

John, condannato a cinque ergastoli e malato di cancro, riceve in carcere la visita del figlio, il quale informa il padre di aver deciso di accettare una richiesta di patteggiamento, così da ottenere una condanna breve per i reati di cui è accusato e poter passare più tempo con moglie e figli. Il padre si oppone a questo primo confronto, che funge da cornice e segue il racconto di ascesa e caduta del boss. Proprio su una dialettica tra onore e affetti, tra famiglia naturale e famiglia mafiosa sembrerebbe procedere il film sulle prime, ma sceneggiatura e progressione drammatica risultano ben presto sfilacciate. Incapace di gestire con continuità e spessore il rapporto tra la vita criminale di Gotti e l’iniziazione a Cosa Nostra di Jr. Gotti, il progetto si perde accatastando una serie di cliché di genere, dimostrandosi molto più interessato a emulare modelli lontani anni luce che a trovare solidità strutturale. Anche la regia priva di sentimento non aiuta le cose, mentre i momenti adrenalinici, che per lo meno avrebbero potuto tenere desta l’attenzione, sono pochi e raffreddati.   

John Travolta crede davvero nel progetto e lo dimostra facendo il meglio che può, simile a Norma Desmond nel finale di Viale del tramonto, calata nella parte con vigore nonostante intorno a lei non si stia girando alcun film. Ma il personaggio di Gotti è un summa di stereotipi che arriva per accumulazione a un vuoto di personalità. Lo sentiamo sentenziare a destra e a manca su onore e doveri da vero uomo per tutto il tempo, col risultato che, in assenza di un’autentica controparte positiva, il film sembra sposare come modello proprio l’ideologia spaccona del gangster. Ed è curiosa tutta questa insistenza sui codici mafiosi, considerato il fatto che nella realtà John Gotti contravvenne al divieto di spacciare droga imposto dal vecchio Gambino. Nel finale il figlio diventa addirittura un martire della causa Gotti anziché della propria, perseguitato da uno Stato di cui però non si mostrano mai a fondo le colpe e le macchinazioni.

John Gotti è dunque un film che nella migliore delle ipotesi risulta moralmente ambiguo, nella peggiore sfiora l’apologia del crimine organizzato. Le stesse interviste rilasciate dai sostenitori di Gotti dopo la morte del boss, gente del quartiere abituata a venerare le imprese del padrino, provocano un cortocircuito emblematico, nel momento in cui anziché funzionare come denuncia di un tragico spaccato sociale sembrano al contrario troppo pericolosamente aderenti allo spirito dell’intero film. In definitiva, possiamo solo sperare che le intenzioni del progetto iniziale fossero molto lontane dai risultati raggiunti.   

Autore: Riccardo Bellini
Pubblicato il 07/10/2018
USA 2018
Durata: 112 minuti

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