Petrov's Flu
Serebrennikov conduce lo spettatore nel sottosuolo di una Russia febbricitante e dominata dalle ombre, in cui incubi e realtà coesistono.
È ormai ben nota la capacità dell'arte di anticipare i mutamenti e le diramazioni della società, di farsi premonitrice e acuta lettrice del presente e dei suoi sussulti; un ruolo che dal secolo scorso viene ricoperto soprattutto dal cinema. Capita spesso di imbattersi in film che preconizzano eventi incombenti o che, anche per casualità, si trovano a uscire quasi in simultanea, osservandone e riflettendone le pulsioni più profonde. Ne è un esempio Petrov's Flu, il nuovo film di Kirill Serebrennikov, in concorso al Festival di Cannes nel 2021 e distribuito via streaming in Italia da I Wonder Pictures proprio nei giorni in cui la Russia campeggia sulle prime pagine e sugli schermi di tutto il mondo (quantomeno quello occidentale. Del resto la lettura del film non può prescindere dal contesto della Russia odierna, poiché la malattia del protagonista, un fumettista nell'era post-sovietica, è anche la malattia del paese stesso, che è andata aggravandosi fino alla manifestazione acutizzata dei sintomi attuali. Ma è anche la malattia di Serebrennikov, debilitato da anni di accuse per appropriazione indebita che hanno portato agli arresti domiciliari, sotto le quali però si nascondono le ombre della repressione politica per aver duramente condannato il governo di Putin.
Ha la febbre, Petrov. Eppure vaga nella notte gelida di una Russia che sembra quasi post-apocalittica, abitata da autobus e furgoni scalcagnati, abitazioni lugubri e fatiscenti, e ricoperta da una coltre di oscurità nella quale si stagliano piccoli fuochi. Il suo ritorno a casa si trasforma in un'odissea non solo fisica ma soprattutto mentale, inevitabile e persino autodeterminata, insita in un personaggio irretito dalle allucinazioni di una febbre che elimina i confini tra realtà e finzione. Le visioni e gli incubi di Petrov si alternano ai suoi ricordi di bambino, che differiscono dalle immagini del presente per il formato e per il tono nostalgico e caldo: un riparo spirituale, tanto per lui quanto per lo spettatore, che trovano sollievo dal turbinio incontrollato che li ha avvolti.
Con Petrov's Flu, liberamente tratto dal romanzo The Petrovs in and around the flu di Alexey Salnikov, Serebrennikov mette in scena una Russia febbricitante, fantasmatica e angosciosa. Una discesa nel sottosuolo che svela un Io governato da impulsi, che si manifestano soprattutto tramite gli slanci di violenza e forza sovrumana della moglie di Petrov, e aggrappato alla memoria. I ricordi del protagonista risalgono a un'Unione Sovietica in cui compariva la stessa febbre, ma era percepita una prospettiva e una coesione andate perdute con la dissoluzione dell'URSS. Un inabissamento apocalittico che ha tradito le speranze condannando il paese a un'oscurità più fitta, colma di non morti come l'uomo che si risveglia uscendo dalla bara o il modo in cui viene considerato lo stesso protagonista (scambiato per un malato terminale).
La crisi della società non può che passare attraverso la crisi dell'immagine, come si è visto anche nel recente France di Bruno Dumont. È l'immagine stessa a essere, nel caso di Petrov's Flu, quanto mai febbrile, trascinando personaggi e spettatore in un caos spaziotemporale. Già nel film precedente, Summer, Serebrennikov aveva inserito elementi di realtà invasa dalla fantasia, lasciando però questo aspetto ai margini e dando maggior risalto al velo nostalgico. Con Petrov's Flu realizza invece una sorta di contrappunto di quel film, un seguito ideale in cui le proporzioni si ribaltano. Le immagini perdono le proprie coordinate e travalicano i limiti che le racchiudono, portando il vero e il falso, la realtà e l'incubo non solo ad alternarsi senza continuità, ma a coesistere. È questa la visione che Serebrennikov ha del proprio presente e dell'anima tormentata e disperata del proprio paese, preda di una febbre persistente che non è stata alleviata e che ha trovato un terreno fertile in un mutamento mai realmente avvenuto.