La moglie del cuoco

Leggero, vagamente saporito come un pranzo consumato velocemente: riesce nello scopo ma si fa dimenticare in fretta

Si sa, il cibo è un ottimo surrogato qualora un film voglia affrontare il desiderio senza troppo addentrarsi in scene di sesso: il nutrimento per bocca è la metafora ideale di un futuro appagamento fisico, è promessa di soddisfazione dell’appetito in una forma diversa dalla degustazione di un dolce. Così, cibo e amore camminano di pari passo nel cinema, e La moglie del cuocoè solo l’ultima delle pellicole che raccontano la nascita di un sentimento tramite il gusto. Le schermaglie amorose e i tradizionali triangoli sono però qui inseriti in un contesto leggermente diverso: tutto inizia in un centro di formazione lavorativa, dove Marithé, esperta nell’assegnare ai suoi clienti un lavoro adatto alle loro competenze, incontra Carole, che è sì in cerca di un nuovo progetto professionale, ma come reazione alla ferrea vita in comune col talento culinario del marito. Il canovaccio richiede ora la complicazione di un innamoramento subitaneo fra quest’ultimo e Marithé, che dà inizio a una complicata strategia di convincimento per spingere Carole all’emancipazione...e sostituirsi a lei nelle braccia dell’uomo.

Un secondo elemento che potrebbe conquistarsi la simpatia del pubblico è la rappresentazione delle protagoniste come due donne alla soglia della maturità, le quali, una volta conquistati determinati obiettivi – nel campo materno e lavorativo – sentono un vuoto da riempire alternativamente con un nuovo impiego o perché no, un amante capace di prendere per la gola. Così a spruzzate di leggerissima ironia, qualche incursione nelle tematiche del vivere moderno e una lieve dose di femminismo, La moglie del cuoco avanza senza troppi intoppi, forse consapevole della sua scarsa memorabilità ma onesto nella sua inconsistenza narrativa. I suoi personaggi, delineati a grossi tratti, sono figure approssimative appesantite dal carattere che devono esprimere: la donna forte che in realtà si sente debole, la donna insicura che però sa gestire situazioni di forte stress, l’uomo innamorato del cibo e di chi sa suscitargli nuovi accostamenti di sapori, ritratti così ben tenuti a mente da poter già immaginare a metà storia quale sarà il finale.

Ma, come in molte opere, non conta il cosa, ma il come, e nel film questo è espresso con disinvoltura, come quei pasti consumato di fretta per placare la gran fame, che riempiono lo stomaco ma non si fanno ricordare. Interessante, ai margini della narrazione, è il riferimento al centro di ricollocazione professionale come luogo di riqualificazione dei lavoratori disoccupati in cerca di una nuova occupazione: una realtà poco conosciuta dove si cerca di far combaciare la passione – cosa mi piace fare – con la competenza – cosa posso fare - , questione non di secondo piano nel periodo attuale. Per il resto, con il suo groviglio di relazioni, colpi di fulmini e tradimenti, La moglie del cuoco si rivela un’opera semplice, poco pretenziosa e con qualche buona intuizione. Niente di meno e niente di più certo, ma coerente con lo scopo di intrattenere lo spettatore per una buona oretta e mezza nonché utile a reiterare una verità mai abbastanza proclamata: la conquista amorosa inizia (quasi) sempre da una buona cena.

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 14/10/2014

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