Continuiamo la nostra ricognizione della casa di produzione Zenit Arti Audiovisive parlando di La partita infinita, opera di Massimo Arvat apparsa al Torino Film Festival del 2006.
Il documentario fotografa il percorso della squadra “Matti per il calcio”, realtà sportiva nata dalle attività ricreative e sportive dei Servizi di Salute Mentale di Alessandria. La compagine è infatti una sorta di “nazionale” dei giocatori con disturbi psichici formatasi reclutando i migliori atleti di calcio che settimanalmente sono impegnati in un vero e proprio campionato regionale che da anni è attivo in Piemonte. Da queste premesse “Matti per il calcio” ha preso il via, divenendo una palestra fisico-motoria e mentale per molti pazienti che attraverso questo sport continuano la loro battaglia interna contro i loro disturbi e verso una “normalità” difficile da ottenere.
L’opera di Arvat è l’ostinato e puntuale diario di bordo della suddetta nazionale calcistica, di come essa si sia formata, organizzata, oliata; di come simili attività possano incidere positivamente sul percorso medico dei giocatori-pazienti, delle personalità che ruotano attorno alla squadra e di come una partita di calcio possa nei fatti palesarsi come un piccolo miracolo umano, divenendo metafora e assieme atto di come un incontro calcistico sia fenomeno di arricchimento e miglioramento personale. Un anno di sudori, tackle, battibecchi, follie, gioco di squadra e dialogo culminato nel big match finale, che ha visto “Matti per il calcio” affrontare la Nazionale Scrittori. Un anno che la perseveranza del regista Arvat ha caricato di significato, restituendo il percorso di formazione umana che il gioco del pallone ha significato per i pazienti, nel lungo percorso illuminato da Franco Basaglia.
Ed è sicuramente questa la lezione che emerge dalla visione di La partita infinita: con fare disciplinato e ben piantato Arvat restituisce tutta la potenza morale che qualsiasi sport cova in sé. La partita infinita è quella che i giocatori con disturbi psichici combattono da una vita contro se stessi e contro i tiri mancini che la psiche gioca loro. Ma è anche lezione di vita, per un’etica calcistica quanto mai preziosa per i pazienti. Essi apprendono lo spirito di squadra, la bellezza e l’emozione della partecipazione, e soprattutto la dignità che si cela dietro ogni vittoria e sconfitta quando ottenute con sudore e sacrificio. L’esito è raggiante e commovente, e grazie al piglio registico la pietas nei confronti dei pazienti è sempre allegra partecipazione spettatoriale.
Le cronache, dal lontano anno di realizzazione de La partita infinita, raccontano di una realtà ancora attiva e molto partecipata, fondata sul contributo della UISP (Unione Italiana Sport per Tutti) che prosegue nel suo percorso sportivo e medico sfruttando il calcio come linguaggio comune scevro da divisioni sociali di alcuna sorta; di come il campionato continui senza soste e di come l’interessamento popolare a riguardo abbia valicato i confini piemontesi, calcistici e medici. Si segnala infine un progetto precedente al documentario di Arvat ma fondato sulla stessa realtà e altrettanto meritevole: Matti per il calcio di Volfango De Biasi, del 2004.