Come si può leggere in qualsiasi enciclopedia, l’albinismo è: “una malattia congenita consistente nella totale o parziale deficienza di pigmentazione melaninica nella pelle, nell’iride e nella coroide, nei peli e nei capelli. Tale malattia è frequente non solo negli esseri umani, ma in numerosi mammiferi, pesci, uccelli, rettili e si verifica persino nei petali, nelle foglie e nei frutti di piante e fiori”. Quindi può manifestarsi anche nei gorilla.
Nel cinema tale malattia è stata affrontata molto sporadicamente e, solo in tempi recenti, non va a connotare il cattivo di turno. Stilando brevemente una filmografia relativa alla suddetta patologia, ed elencando solo le pellicole degne di nota, il primo film che viene alla mente è The Eiger sanction di e con Clint Eastwood, in cui il cattivo Mr. Dragon è affetto da albinismo; altro malvagio albino degno di nota è stato il monaco Silas, ne Il Codice Da Vinci di Ron Howard. Di altra effetto e altra caratura, l’albinismo viene trattato con normalità e dolcezza nel fantasy Powder di Victor Salva, nella commedia Nói albinói di Dagur Kári e nell’interessante documentario White man di Alessandro Baltera e Matteo Tortone. A questa esigua lista va inserito in ultimo Le avventure di Fiocco di Neve, che giunge nelle sale italiane con un anno di ritardo.
Prendendo spunto dalla vera storia del gorilla albino Fiocco di neve (Floquet de neu in catalano), che visse nello zoo di Barcellona dal 1966 al 2003, anno della sua morte, la pellicola non intraprende la strada del biopic, se ne allontana anzi per immettersi in quella della favola volta a raccontare, con toni dolci e divertenti, la difficoltà del diverso di essere accettato dai suoi consimili. Realizzato con la tecnica mista – animazione e live action – che, oltre a risolvere il problema di far recitare un gorilla bianco e facilitare l’interrelazione tra umani e animali, permette anche di rendere gli animali antropomorfi, in questa vivace e colorata fiaba. In quest’opera di Schaer compaiono anche rimandi a figure simbolo delle favole classiche ed omaggi al cinema comico. La Strega del Nord, interpretata dalla fascinosa Elsa Pataky, è un chiaro rimando alla strega buona de The wonderful Wizard of Oz di L. Frank Baum, trasposto poi con successo anche al cinema (The Wizzard of Oz di Victor Fleming e con Judy Garland). C’è poi, come in ogni racconto favolistico che si rispetti, il personaggio malvagio, interpretato molto bene da Pere Ponce, che cesella un’ottima figura di villain che si rifà, nelle gags slapstick, ai comici del muto (l’impassibilità di Buster Keaton è in filigrana) ma che ricorda anche lo sfortunato e pasticcione Ispettore Closeau di Peter Sellers.
La qualità della computer grafica, curata dalla galega Bren Entertainment, è molto buona e dimostra come le produzioni europee piano piano si stiano avvicinando a quelle americane. Quello di cui difettano ancora queste pellicole sono però le storie, in cui anche se gli ingredienti (favola, avventura, buoni sentimenti, morale finale) si amalgamano bene, rimangono adatti solo ad un pubblico di bambini, per di più di quelli non ancora smaliziati.