Le favole iniziano a Cabras
L’esordio alla regia documentaria dell’autore e interprete teatrale, Raffello Fusaro, che non è principio, ma già apoteosi di ispirazione di una definita poetica autoriale
L’esordio alla regia documentaria dell’autore e interprete teatrale, Raffello Fusaro, non è in verità il principio di quanto il giovane drammaturgo pugliese ha a cuore di esprimere attraverso il grande schermo, ma al contrario è già una apoteosi di quei fulcri di ispirazione poetica, che da tempo fondano saldamente la sua carriera teatrale e le sue precedenti incursioni dietro le quinte cinematografiche.
Le intenzioni che muovono intrinsecamente il documentario Le favole iniziano a Cabras, sono infatti disseminate in più di un’opera realizzata da Fusaro, a partire dal cortometraggio Kalif (2009), delicato ritratto biografico di interculturalità, proseguendo con lo spettacolo Dante Remix (2010), trasposizione visiva dell’attualità dantesca, sino alla collaborazione progettuale ad Italy in a day – un giorno da italiani (2014) di Gabriele Salvatores, viaggio di montaggio nel paesaggio umano italiano.
Il confronto multimediale col proprio tempo attraverso l’affermazione trasversale ed itinerante delle tradizioni culturali, da quella aulica a quella quotidiana, sono le profonde pulsioni del personale narrare di Fusaro, e ancor prima del suo ricercare storie che si prestino al suo voler narrare suggestivo e incantato, come mostra il costante rilievo affidato alla colonna musicale e ai movimenti panoramici.
“Ciascuno diventa unico, se trova l’altro in ascolto”, recita l’epilogo di Kalif , che è già prologo delle favole scoperte a Cabras. A Cabras, sotto un cielo stellato da mille e una notte, hanno origine i racconti sul desiderio immaginifico e sulla “fame di infinito”, lì dove, in quell’immenso villaggio in mezzo al mare, che è la Sardegna di Gramsci, Deledda, Nivola e Fresu, passioni tenaci continuano a trasformare la vita degli uomini in occasioni uniche di meraviglia, dunque in fiabe. Le fiabe, che non sono solo leggenda, protesi arcaiche di verità, come la corsa antica degli uomini scalzi, compagnia custode di credenze, di quella inestricabile antropologia tribale e rituale, che da secoli di generazione in generazione, perpetua il dogmatico miracolo dell’appartenenza agli avi e ai luoghi della pietra, alla memoria inscalfibile e misterica della civiltà nuragica; fiabe sono anche le parabole di vite individuali che, ridestatesi dal sogno isola(to), vanno nel mondo “cantando dell’amore la bellezza”.
Così, moderno aedo mitologico, Fusaro tesse insieme tanto la sacralità di una natura immune allo scorrere del tempo, cieli rosa e nubi trafitte su distese d’acqua, le armonie gravi dei pastori nei pascoli, quanto la solennità dell’ artificio umano, altrettanto sublime, quale può essere la messa in scena surrealista di un trio di performers, a raccontare non più all’uomo, ma forse alla terra stessa, di una umanità, vittima e carnefice insieme, inutilmente in fuga : la guernica smembrata, non più visione unitaria di pena, ma dissociazione di spettri. L’accostamento di racconti individuali e paesaggi, sono dispiegamento di pure ellissi esistenziali di principio kubrickiano (dall’accensione rudimentale del fuoco, prima fonte di proiezione artificiale di luci e ombre al cinema astratto privo di fabula, retto dalla sola psicologia della forma soggettiva). Fusaro celebra quel genius loci, che continua a nutrire l’estro abitante, perché si materializzi in arte esclusiva: il navigatore di barca a vela, Gaetano Mura, orgoglioso di aver conquistato il dominio sui tempi del ritorno ad un se stesso sempre diverso dopo ogni nuova rotta; lo scultore - musicista della pietra minerale, Pinuccio Sciola, che accarezza e sprigiona il suono della terra fossile, risalendo di vibrazione sonora in vibrazione sonora, il tempo ancestrale, lo stridore armonico della terra, dell’acqua e del fuoco, quando ancora non erano che materia siderica dell’universo. Ma più di tutti condivide un intimo tesoro, lo stilista Antonio Marras, che narra di immigrazione attraverso la concettualità di abiti – memorie. Marras conduce Fusaro, coinvolgendolo in prima persona, pur sempre dietro l’obiettivo, nella “piccola casa di Maria”. Maria Lai, tra le maggiori artiste italiane del ‘900, antesignata e fondatrice dell’arte della fibra, performer di land art dal forte senso e impatto comunitario, così ispirata e legata alla sua Sardegna natale, da stanziarvi la propria eredità intellettuale nel museo all’aperto che porta il suo nome. Maria Lai, prisma di riconciliazione tra tradizioni popolari umili ed arte contemporanea, ridefinitrice di una sorta di morfologia geografica esistenziale.
Fusaro realizza una personale fantasticheria documentaria per cantare la poietica di un nostos mai ripiegato su se stesso, ma al contrario proteso al futuro, pur essendo totalmente avvinto dalle proprie origini e dalla forza autentica del desiderio che sgorga dalla terra, madre creatrice e amante plasmata.