Le meraviglie

Immersa nella campagna la famiglia di Gelsomina, non si sa se per tradizione familiare o per fuga dalla città, si è adagiata al ritmo ripetitivo delle giornate lavorative a spremere dalla terra i suoi frutti per rivenderli. In particolare la ragazza, ormai adolescente, si è specializzata nell’apicoltura: il riconoscere lo stato di salute delle api, accarezzarle dalle dita e perfino, come una dea campestre, saperle far fuoriuscire dalle labbra come se le partorisse dal grembo della sua stessa bocca. Ma a 12 anni si ha voglia di vivere nuove esperienze, di divertirsi e non lavorare sempre e solo perché, essendo la maggiore di quattro figlie, si è costrette a impersonare il ruolo dell’erede maschile che il padre non ha mai avuto. Un invito verso le lusinghe del mondo esterno arriva dalla fata Milly Catena, che come la fata turchina ha capelli chiarissimi e parla con voce flautata: in realtà è la conduttrice, con tanto di parrucca e abiti di scena, di un programma televisivo che vuole premiare le famiglie del posto che meglio con il loro lavoro conservano l’atmosfera antica di un tempo in cui la terra era madre fertile che allattava con carne, miele, frutta e verdura i suoi figli; il tempo arcadico, ideale, in cui l’Italia era ancora il paese delle meraviglie.

Un padre innamorato ferocemente della propria primogenita che considera l’erede della sua terra e della sua sapienza, spaventato che possa rifiutare di divenire l’ape regina del regno che vuole lasciarle; una bambina-donna che in realtà ha già impresso se stessa nello stampo della natura feconda in cui è nata, ed è pronta a essere una novella Demetra in ogni posto dove metta i piedi; Le meraviglie di Alice Rohrwacher prende le distanze dal racconto attuale, malgrado i riferimenti ai problemi economici di chi, al giorno d’oggi voglia continuare nell’impresa arcaica di coltivare la terra con tutti gli ostacoli derivanti dal doversi mettere in regola con le normative odierne. La magia, catturata nello sguardo adorante che la ragazzina rivolge alla sua Fata stratruccata e imbrigliata in corpetti aderenti, è il registro fondante di un racconto che partendo dal descrivere le attività quotidiane della famiglia della protagonista gradualmente abbandona ogni interesse per il presente per rivolgersi verso un senso atemporale delle cose, quasi eterno, come la terra dalla quale Gelsomina comanda le sue sorelle più piccole e intrattiene un muto dialogo con Martin, che con il suo volto ostinatamente silenzioso le indica altre strade da intraprendere, ed è un giovane teppista preso in custodia temporanea dal padre – una sorta di progetto rieducativo – per avere due braccia forti in più sul quale fare affidamento. Facile che i media vogliano appropriarsi di questo incantamento per farne un prodotto da vendere, in fondo è proprio su questa suggestione sensoriale del paese nostrano come sede ancestrale di qualcosa che ancora non è stato consumato dal tempo che si basa l’attrazione dei turisti. Ma è materia che nella sua essenza sfugge dalle mani degli esperti del marketing, esattamente come faceva la ricerca di Dio nella prima opera della regista, Corpo celeste, sulla fede religiosa come sostanza adulterata di compravendita di anime e voti elettorali che tentava di sgorgare nuovamente pura e dolorosa in una ragazzina spaesata. C’è bisogno, per raccontare quel qualcosa che permane nella nostra penisola bistrattata e sempre più inquinata, di uno sguardo evanescente, pronto infine ad abbandonare la coerenza dello spazio tempo e immergersi nell’immagine sempre più immaginata e sempre meno reale per tramutarsi in qualcosa che scompare, diviene invisibile, qualcosa che si è afferrato un istante per poi dissolversi, al punto da farci chiedere se ce lo siamo sognato. Come il preciso momento in cui una bambina diviene donna e si distacca dal regno del padre per costruirsi da sola il proprio reame; come la bellezza elusiva di una terra che cambia luce e volto mentre ci camminiamo sopra; e come la meraviglia, che non si fa spiegare, fermare, ma solo percepire, vento sulle guance a occhi chiusi.

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 18/08/2014

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