Le migliori cose del mondo della regista brasiliana Laís Bodanzky racconta l’adolescenza di Hermano, alle prese con i primi amori, il divorzio dei genitori e le malinconie del fratello maggiore Pedro. E’ un racconto gradevole, delicato, tutto visto “dall’interno”. Il protagonista è un ragazzo sensibile, intelligente, che cerca di orientarsi in un paesaggio improvvisamente mutato da quando il padre ha lasciato la madre non per un’altra donna ma per un ragazzo; nel frattempo si invaghisce – come altri suoi coetanei – della ragazza più provocante e popolare della scuola, mentre la sua migliore amica Valeria si innamora di un giovane e attraente professore, scatenando senza volerlo aspre polemiche tra genitori, preside e insegnanti.
Al centro del film c’è la descrizione di una crescita (intellettuale, sessuale, emotiva), messa in scena con tatto e leggerezza ma senza superficialità; i giovani attori protagonisti – che interpretano Hermano, i suoi compagni e suo fratello – recitano con molta naturalezza dei ruoli in cui si sentono perfettamente a proprio agio. Ma dentro questo racconto scanzonato sui timori e gli entusiasmi dell’adolescenza, accompagnato dalle canzoni dei Beatles suonate da Hermano con la sua chitarra, fanno capolino tutta una serie di tematiche più serie trattate con precisione e accortezza: la disattenzione e la cecità pericolose di genitori troppo presi da se stessi, la solitudine che può diventare isolamento psichico, l’omofobia e il bullismo. Soprattutto la vita scolastica si fa a tratti insopportabile per Hermano e i suoi amici, e non per via dei professori, quanto a causa delle malignità di alcuni compagni. Il pettegolezzo ai tempi degli mms e di facebook sembra infatti essersi fatto esponenziale, e i ragazzi vivono nell’ansia che ogni loro piccolo errore (una foto “compromettente” o magari solo una figuraccia) possa finire sul web a tempo di record.
La regista appare insomma molto attenta non solo nella riflessione sull’adolescenza tout-court ma anche nell’ancorare saldamente questa riflessione nel nostro presente. Miscelando umorismo e toni agrodolci, con garbo ma senza edulcorazioni, con semplicità ma fuori da ogni schematismo, il film sa rendere partecipe lo spettatore mostrandogli ogni cosa dal punto vista di Hermano, che alla fine della storia sarà arrivato a una sua personale conclusione, affidata dalla regista alla voce di lui fuori campo: “Non è impossibile essere felici da grandi, è solo più complicato!”.