Lecce 2015 / ''25 minuti su Jacques Becker, poi tutto il resto'' - Incontro con Bertrand Tavernier
Inizia la 16° edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce, ospite d'onore il prossimo Leone d'Oro Bertrand Tavernier.
Sarà suo il Leone d’oro alla carriera alla prossima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, la 72ª. Ma prima c’è l’Ulivo d’oro del Festival del Cinema europeo di Lecce, giunto al sedicesimo anno, che ha scelto lui e Fatih Akin come Protagonisti del cinema europeo di questa edizione.
«Sono curioso di vedere se il Leone sarà in grado di arrampicarsi sul ramo d’ulivo», scherza Bertrand Tavernier nell’incontro con la stampa in questa seconda giornata di festival che in serata, con la premiazione prima, e poi la proiezione di Quai d’Orsay, lo porterà a confrontarsi con il pubblico e rispondere alle domande di Bruno Torri. Questo e altri nove titoli della sua vasta produzione (L’orologiaio di Saint-Paul, Che la festa cominci…, Il giudice e l’assassino, La morte in diretta, Colpo di spugna, Una domenica in campagna, Round Midnight, L’esca e L’occhio del ciclone) nei giorni di Lecce.
Temi, generi, film diversi. Ma Tavernier parla anche di opere non inserite in programma, per raccontare il suo cinema, il suo osservare il mondo, come La princesse de Montpensier con Mélanie Thierry, presentato a Cannes 2010: «Mi spiace che sia non sia stato distribuito in Italia. So che molti giovani hanno trovato qualcosa di loro in quel film. È ambientato nella Francia del Cinquecento dilaniata dalle guerre di religione, ma in realtà è un soggetto contemporaneo. Si può parlare del nostro oggi attraverso il passato. Se penso alla protagonista che è costretta a sposare un uomo che non conosce, dico che cose simili – non poter scegliere il proprio destino – le possiamo trovare ancora oggi, purtroppo, in contesti religiosi diversi: mormoni, ebrei ortodossi, protestanti fondamentalisti americani, certo Islam... Una parte del mondo è rimasta al XVI secolo».
Parla, ancora, di industria del cinema, Tavernier , tra un asse che non esiste più e la commissione europea presieduta da Jean-Claude Juncker: «Ormai è difficile vendere film francesi in Italia. L’ultimo Fellini, per fare un esempio, ha ricevuto finanziamenti francesi così come molti film francesi si sono potuti realizzare grazie all’Italia. Nel vostro paese con la nascita dell’epoca politica di Berlusconi questo processo è finito. È molto importante l’appello che alcuni registi hanno lanciato dal Festival Rendez-vous a Roma pochi giorni fa alla Commissione Europea, per favorire il sostegno al cinema europeo e la sua diffusione. Il problema è che lì, a Bruxelles, pensano che sia colpa dei registi anche se non riescono a vedere una partita di calcio».
Ed ecco, poi, il Tavernier sceneggiatore nel 1967 per Riccardo Freda, in Coplan ouvre le feu à Mexico, ancor prima de L’orologiaio di Saint-Paul: «Ho molto amato i film di Freda degli anni Quaranta come I miserabili e Il cavaliere misterioso. Apprezzavamo lui e registi come Vittorio Cottafavi che invece la critica italiana non amava. E avevamo ragione noi. Ma il film che è ho fatto con lui è assolutamente orribile, del resto non gliene fregava niente dello script, litigò col produttore e aggiunse scene in cui i personaggi dicevano “bla bla bla”». E non può esimersi, soprattutto, Tavernier, dal raccontare il “suo” Philippe Noiret: «Il rapporto con gli attori è per me qualcosa di assolutamente primordiale. A Philippe devo la mia carriera, ha creduto in me. Ho voluto continuare con lui per riconoscenza ma anche perché era un attore straordinario capace di attraversare epoche e ruoli con la stessa verità. Aveva l’incredibile gentilezza di far credere che il lavoro fosse facile. Sapeva tutto dei personaggi, delle loro emozioni,non c’era bisogno di psicanalizzare come abitudine di molti attori americani. Credo di aver trovato con lui lo stesso rapporto che c’era tra Fellini e Mastroianni».
A Venezia, inoltre, selezionerà alcuni titoli di Venezia Classici: «Saranno tre o quattro che ritengo ingiustamente sconosciuti o quasi. Del resto un buon modo per contrastare il proprio ego è occuparsi dei film degli altri. Lo faccio, ad esempio, sul mio blog». E, infine, quello che verrà: «Sto lavorando a qualcosa che non so esattamente definire, uno, forse due film per il cinema, qualcosa che riguarda il mio rapporto personale con alcuni film e registi; come il primo film visto, a 6 anni, in ospedale per tubercolosi. Era di Jacques Becker, che considero uno dei più grandi registi francesi. Partirò da questo ricordo, 25 minuti su Becker, poi tutto il resto».