Lecce 2015 - ''Hardkor Disko'' e ''Magical Girl''

Tra Polonia e Spagna due storie nere dal concorso del Festival del Cinema Europeo di Lecce

Un ragazzo arriva in città. Un luna park in decomposizione è immagine che racchiude beffarda e spietata il mondo; gli occhi del giovane (Marcin Kowalczyk) sono un concentrato di vuoto freddo ma già minaccioso; il movimento, il gesto, il silenzio sono quelli di un “alieno” in missione. Incontra una ragazza, musica e droga sono il principio, la scopata a casa di lei e della sua famiglia diventa l’approdo. Il mattino dopo, padre e madre di Ola fanno colazione con lui. Sarà una storia di vendetta e morte, in un racconto crudele fra disegni d’infanzia immessi in umore horror a scandire capitoli, una dolce bambina in video casalingo e feste notturne di gioventù, una strada che conduce a un bosco. “Il” bosco. Le immagini sono posa visiva che seduce e nasconde, tra ripetizione e astrazione. «Ho fatto il film che volevo io, con un piccolo budget, di 30.000 euro, ma senza intrusioni esterne». A raccontarlo al pubblico del Festival di Lecce è il polacco Krzysztof Skonieczny, classe 1983, regista di Hardkor Disko, il suo lungometraggio d’esordio, in competizione nel concorso Ulivo d’oro. Studi all’Accademia Nazionale di Arte drammatica di Varsavia, autore di pièce teatrali e attore fra teatro (Marcin Liber, Marek Fiedor, Micha? Zadara…) e cinema (Andrzej Wajda, Piotr Mularuk, Agnieszka Holland…), fondatore del conglomerato artistico g?ebokiOFF e regista del documentario Gdzie jest Schulz, Skonieczny in Hardkor Disko inquadra l’abisso del mondo, ma con lo stile rischia di “barare”.

Immagine rimossa.

Arriva invece dalla Spagna l’altro film in concorso, Magical Girl del trentacinquenne Carlos Vermut, proveniente dal pianeta dell’illustrazione e del fumetto, autore nel 2011 del suo primo lungometraggio, Diamond Flash. L’inizio viene dal passato: una ragazzina e il suo professore, in classe, una piccola mano che sembra trattenere un foglietto di insulti a lui indirizzati, una mano che si apre ma non c’è niente. Oggi, invece, c’è una bambina malata di leucemia che non sa se arriverà a 12 anni e un padre ex insegnante da mesi senza lavoro, che vuole donarle gli ultimi momenti di felicità. Comprarle l’abito di “Yukiko Magical Girl”, anime giapponese che Alicia adora, sarebbe il regalo perfetto. Luis (Luis Bermejo) riuscirà ad acquistarlo grazie all’incontro casuale con Barbara (Bárbara Lennie), giovane donna bella, fragile, irrisolta, sposata con uno psichiatra che non le risparmia farmaci e minacce d’abbandono. Dopo una notte passata insieme, l’uomo, ricattandola, otterrà i soldi. Da qui, il film diventa qualcos’altro: Luis, Barbara e Damian (José Sacristán), anziano ex insegnante di matematica uscito da poco dal carcere, diventano linee narrative parallele e incrociate. Racconta il regista nelle note di commento: «Il film ricorre a una catena di ricatti, elemento tipico del cinema nero, per parlare di amore, desiderio, ossessione e della relazione tra gli esseri umani e il loro lato più oscuro». Ma alla fine a mancare è proprio la magia, con la vita occlusa da un cinema che sa di programmatico e troppo “pensato”, costruito, opprimente.

Autore: Leonardo Gregorio
Pubblicato il 20/04/2015

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