Lecce 2015 / ''Superworld'' e ''Key House Mirror''
Da un Dio trovato al supermercato all’amore in ospizio, primo sguardo ai film in Concorso al Festival del Cinema Europeo di Lecce
Provincia austriaca, estate calda. Piccolo mondo che si ripete ogni giorno tranquillo, tutto uguale, perfetto nelle sue regole basilari di convivenza, nelle sue villette ordinate e mute. Come quella di Gabi Kovanda e suo marito, sposati da molti anni, la pensione come unico orizzonte futuro, affetto sincero a unirli perché l’amore forse è andato via da un pezzo; ci sono un figlio e la sua camera, ancora, presenti a intermittenza, e una figlia e il compagno che vivono altrove. Gabi lavora come cassiera in un supermercato, un giorno finito il turno si avvia verso la sua auto ma succede qualcosa di strano, qualcosa che la donna inizia a sentire nella sua testa, una voce che la perseguiterà sempre di più fino a spalancare un baratro che inghiotte anche la sua famiglia.
Superworld del viennese Karl Markovics – noto all’Italia televisiva soprattutto per aver interpretato il ruolo dell’ispettore Stockinger ne Il Commissario Rex e arrivato ora al suo secondo lungometraggio da regista dopo Atmen (Breathing) – ad aprire la sezione dei film europei in concorso al festival di Lecce.
Gabi – ottima Ulrike Beimpold – parla con Dio, sente la sua voce, cammina a piedi nudi nelle strade vuote fuori città incorniciate dai girasoli, rimane imprigionata al buio in una deliziosa chiesetta campestre. Il film di Markovics sa convincere per la capacità di racconto e per la precisa attenzione ai personaggi, ma alla fine, proprio quel finale, quell’approdo, lascia una sensazione di piccolo “inganno” dei confronti dello spettatore, depotenziando in un certo senso quello che il film era stato fino a quel momento.
Molto bella un’altra figura femminile, quella dell’anziana Lily (Ghita Nørby) in Key House Mirror del danese Michael Noer, classe 1978, già documentarista e al suo terzo lungometraggio di finzione dopo il racconto sulla linea giovinezza-criminalità in R (diretto in coppia con Tobias Lindholm) e Northwest.
Scrive il regista, nelle note di regia: «Key House Mirror parla del rifiuto di morire – e della voglia di cogliere l’amore giunto alla porta accanto». Quella di colui che chiamano “il Pilota” (Sven Wollter) , ospite come Lily e suo marito Max, colpito da vari ictus, in una casa di riposo. La donna, consapevole che poco resta da vivere al marito e in cerca di una “libertà” che non ha mai realmente vissuto, si innamora, ricambiata, dell’uomo, scopre la passione. La famiglia è contraria ma non le importa. Tratti dell’Amour di Haneke, ma soprattutto racconto dolce di corpi sgraziati che danno forma al loro desiderio, una poesia primigenia, un abbraccio vitalistico e commovente senza ricatto. Una scrittura che riesce a non farsi mai invadente (sceneggiatura di Anders Frithiof August), un film dentro le dinamiche del fine vita, in quei copioni d’esistenza uguali a chilometri e latitudine diverse; i legami e le loro trasformazioni, gli egoismi e la necessità di sopravvivere comunque nel rispetto di se stessi e di quel che si è stati.