Libere

Tra corsi e ricorsi storici: le donne che hanno fatto Esistenza della Resistenza partigiana.

"La donna sa, che la sua liberazione non può attenderla che da se stessa"

Essere donne , regia C. Mangini, 1965

Eterna questione di costruzione, prima di cultura e poi di memoria collettiva, è Libere, il documentario di montaggio di Rossella Schillaci, regista torinese e antropologa visuale. Un masso di sisifo, in verità, che torna (e ci auguriamo non smetta!) a scavare nel solco cinematografico dell’emancipazione sociale femminile .

Locandina e titolo, apparizione sovraimpressa sulle immagini d’epoca iniziali, scelgono di fissare tra la fiumana di gente riversa per le strade all’indomani del 25 Aprile di Liberazione, una ragazzina sorridente col pugno chiuso teso in alto. Dichiarazione programmatica o meno, la mente torna a Bimba col pugno chiuso (2014), originale docu-intervista con inserti animati alla partigiana Giovanna Marturano. Attingendo dalle fonti storiografiche l’animazione trasfigurava questi medesimi fotogrammi, il bianco e nero sbiadito di pellicole d’archivio, in personaggi stilizzati, collage di illustrazioni musicate.

Con le dovute differenze di intenzione, stile e linguaggio, anche Libere si propone come operazione d’astrazione, distanziamento più lucido che emotivo, della memoria storica fattuale, affinchè il portato ideologico s’imprima al dibattito politico e soprattutto umanista, insomma ad una Memoria collettiva non occasionale, ora che le combattenti, testimoni viventi, sono sempre meno.

Pertanto, i luoghi stessi di conservazione dei supporti-reperti di registrazione, rivestono per il film primaria importanza. Si schiudono gli imponenti scaffali a scomparsa dell’ Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza e s’apre il sapario sullo scrigno di nastri magnetici, videoriprese amatoriali, carte d’identità ingiallite di donne che imbracciarono fucili e donne con in braccio bambini. Le donne che hanno fatto Esistenza della Resistenza partigiana. Tuttavia, l’impressione è di rispolverare una sezione archeologica del secolo passato, un vaso di pandora che anziché disperdere, ha ripiegato su se stessa i propri mali. E si, perchè c’è una lotta perpetua e sommersa nella lotta di superficie, quella di liberazione civile, una lotta atavica che a fasi alterne torna ad urlare a gran voce, nella solitudine o in un coro di forze disparate, è la lotta di superamento del ruolo socialmente imposto da secoli, la lotta di rivendicazione del merito e della parità di diritti, non certo di conquiste per concessione e convenienza storica. La condanna alla subalternità e alla spirale del silenzio che genera fantasmi. Fantasma del pasato torna la voce di Ada Gobetti, unica donna partigiana invitata ad intervenire al convegno di CNL del 1965, a catapultarci in un dopo guerra di rinascita sociopolitica spudoratamente di facciata; deludente, se per valorizzazione delle forze femminili dispiegate, ha inteso solo dediche memoriali di sezioni di partito per le compagne cadute sul campo; imbarazzante, se alcune altre, le sopravvissute, hanno atteso gli anni 2000, per un formale riconoscimento istituzionale.

Nel discorso di Ada Gobetti, nel suo esordire polemico con l’uditorio astante, incombe la provocazione collusa con la pena(lizzazione): “ Non vi farò far tardi per il pranzo...” . L’istintivo, primissimo pensiero d’associazione comune con “la donna” è il pranzo, lo spettro dominante dell’universo casalingo cucitole addosso dal patriarcato e dal maschilismo imperanti, nei cui discorsi chiede riconoscimento e parola di diritto ora - e se non ora quando, ancora? - che s’appresta la ricostruzione nazionale.

Rossella Schillaci ripercorre nel montaggio lineare quel frangente storico italiano in cui le donne seppero unirsi e mostrarsi solida e autonoma forza di pensiero e lavoro (ben 70.000 aderirono ai Gruppi di Difesa della Donna sotto il monito di “Pane e Pace”) per poi precipitare nella disillusione più cocente nel dopoguerra, avide della conquista del voto, ma espropriate dell’entusiamso di partecipazione diretta. Poche donne furono ammesse alla costituente, pur rappresentando la maggiornaza del corpo elettorale, ritrovandosi di contro bersaglio privilegiato di massa di una Democrazia Cristiana capitanata da padri-padroni e sacerdoti di mentalità arcaica. Le donne dovettero ricedere agli uomini il posto di lavoro in fabbrica, i ruoli dirigenziali nel partito, se non altro e se non fosse, per il riemergere prepotente del “ricatto materno”. Ristabilito d’ufficio per gli anni a venire lo status quo ante (fatta salva la stagione di conquiste del femminismo propriamente detto e tutt’oggi da difendere) sono i modi e i termini della trasmissione di certi valori alle generazioni future a farsi necessari, a doversi ancora fare patrimonio condiviso. Le donne della lotta partigiana sono comunemente ricordate per il compito di staffette tra i villaggi e le montagne dove si nascondevano i combattenti ex soldati e fuggiaschi, per lo più i fratelli antifascisti militanti passati alle armi. Per i rischi estremi cui incorrevano nel loro via vai clandestino , per lo stremo e la paura che le pervadeva per km e km in bici cariche d’esplosivo, le donne partigiane non sono mai state graduate alla pari degli uomini come Ufficiali di collegamento, quali furono, ma ridimensionate a staffette... e forse mai per il pudore delle miserie e delle carneficine, potettero esprimere pubblicamente una felicità che nessuna loro madre prima di allora conosceva, la destin-Azione di una vita non prescritta ed esclusiva, persino l’aver gettato il seme della libertà sessuale. In questo senso l’eredità delle donne partigiane è il portato esistenziale per cui da allora ad oggi non s’è mai smesso di lottare per vivere autenticamente; che l’esemplarità delle donne partigiane nasce dalla loro ribellione alla quotidianità, e paradossalmente s’è dovuto far più forte dopo, negli anni del boom economico, quando nella loro quotidianità di reintegrazione casalinga si son riviste imporre il ruolo dell’angelo del focolare, non più dimesso, ma persino ottimizzato: l’immagine femminile pubblicizzata dal neo fascismo del consumismo.

Autore: Carmen Albergo
Pubblicato il 26/05/2017

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