“Voglio un film… pazzo!” diceva il Maestro Rotella al Regista Calopresti. E un film pazzo ha avuto. A 5 anni dalla morte – era nato il 7 ottobre 1918 a Catanzaro, ed è morto a Milano l’8 gennaio 2006 – di Rotella rimangono vive le sue parole, e le sue mani, che compongono il documentario L’ora della lucertola realizzato da Calopresti nel 2004. Entrambi calabresi, ci regalano questo video-memoriale, un documento filmato della lunga ed eclettica vita del Maestro, dei suoi ricordi, della sua poetica.
L’ora della lucertola.
E’ un’ora scarsa piena di ricordi. Di memorie. Un’ora scarsa che ruota intorno alle parole: ricordi, magia e Calabria. La terra natìa sempre amata e mai dimenticata, una terra che ritorna spesso. Con i suoi colori, i suoi profumi, la sua magia. Terra magica la terra di Calabria, con la sua storia, la Magna Grecia che riaffiora nelle parole del Maestro. Ricordi infantili che riemergono, in un misto di tradizione e novità, un sacro e profano perfettamente mescolato. Giochi perduti, strade cercate in altri luoghi, in altri paesi, in altre forme. Ma è sempre la Calabria a ritornare forte e viva, dura e dolce, nelle rimembranze dell’oramai anziano Maestro, nella sua fanciullezza, nei giochi e nelle scorribande adolescenziali vissute in un’epoca lontana dura anch’essa e piena di miseria e povertà. Niente a che vedere con gli agi della maturità, ma calzoncini corti, terra e foglie d’erba. Semplicità e sudore sulle montagne calabre che regalano il titolo al film: l’ora della lucertola è l’ora più calda del giorno, durante la quale Rotella&Compagni, ardenti fanciulli, andavo a catturare le lucertole. E’ un’ora a lui molto cara, tanto da essere stata già usata due anni prima per pubblicare un’importante volume con le sue opere.
Epistaltica.
La poesia è parola. La parola è voce. La poesia è voce. La voce è un suono, un fonema. Una serie di fonemi creati senza alcun nesso logico; ma mantenendo comunque un’armonia musicale… siamo di fronte ad una poesia epistaltica. Un neologismo privo di qualsiasi significato, creato dal Maestro, nella fine degli anni ’40, e per il quale scrive anche un manifesto pubblicato da Leonardo Sinisgalli nella sua rivista “Civiltà della Macchine” (1955). E’ una poesia fonetica, l’epistaltica, che trae ispirazione da quelle esperienze creative dei poeti fonetici appartenenti alle fila delle avanguardie storiche, di fatti Rotella rivendica la possibilità di inventare parole, slegandole da qualsiasi discorso di logica, significato, incentrandosi sulla materia prima che costituisce ogni parola: il suono.
A morte Guttuso o dell’osteria dei pittori.
I primi anni di Rotella a Roma sono anni fantastici. I frenetici anni Cinquanta, i mitici Sessanta. I primi successi, le prime esposizioni, i viaggi. E poi le esperienze negli U.S.A., in Francia, in giro per il mondo. Senza mai dimenticare la terra magica di Calabria. Un personaggio eccentrico, il nostro. Sicuramente avanti, che precedeva i suoi tempi. Ma contemporaneo di Schifano, Angeli, Festa, ed altri ancora… Tutti diversi, gli artisti che gravitavano a Roma tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Ognuno con il suo stile, le sue esperienze, la sua poetica. Ma ognuno accomunato dalla fame, dalla miseria, dalla voglia di riscatto. E dalla mitica osteria dei pittori, quella dei fratelli Menghi, in via Flaminia, Roma. Due filantropi questi fratelli, che sostenevano nel pieno senso tutta una serie di artisti squattrinati avidi dei loro racconti, delle loro storie cariche di eccentriche visioni. Un’osteria che ha segnato la storia, e narrata superbamente da Ugo Pirro in un suo celebre libro. Proprio lo sceneggiatore – anche lui calabrese – ricorda i momenti passati insieme. Una memoria storica da difendere. Differenti, ma uguali i pittori dell’osteria. Via Flaminia, Piazza del Popolo, Canova e Rosati, via Margutta, tutto un mondo, una città nella città, vissuta e costellata da monumenti nazionali per intenderla con le parole che Piero Ciampi dedicò parlando dell’amico Franco Angeli. Personaggi assai differenti, tutti accomunati – per lo meno – nell’odio commisurato nei confronti di Guttuso, nemico in senso artistico. E poi c’era il cinema, Fellini, la dolce vita… E Rotella di questo mondo era un assiduo frequentatore oltreché una figura chiave. Basti pensare che Lucio Fulci, sceneggiatore del film Un americano a Roma diretto da Steno del 1954 si era ispirato ai racconti dell’artista calabrese per il personaggio di Nando Mericoni, basati sulla sua esperienza americana.
Lacerazione.
Personaggio è forse una parola abusata a questo punto. Usata anche fin troppo, questo è certo. E in queste lunghe stancanti ripetizioni incerte e sobrie, a chi privo di fine mente prova sconcerto, rielaborazione di anafore, volteggiano come condor sulla figura, sulle parole, sulle immagini che Calopresti registra coadiuvato dal sempre bravo Ferrari alla fotografia. Delego ad altra sede pensieri e parole sul Rotella artista, pittore, venditore di fumo. Mi limito a circo-incidere l’opera filmica diretta e interpretata da questi due eminenti calabresi omonimi.
Ma non posso limitarmi, tantomeno esimermi dal perseguire l’ombra del personaggio. Perdersi nelle sue parole, nei suoi silenzi, nei suoi sguardi. Se il cinema, e la vita, è l’arte dell’incontro, Rotella fa di arte la lacerazione. Uno squarcio nel cielo sono i suoi di squarci, di lacerazioni, di strappi. Un gradino, almeno, più su. Lo strappo, un atto politico. Un segno di protesta, di ribellione. La rivoluzione. Il tutto parte, per lo meno, da un rifiuto di chi vuole cogliere la realtà solo come figura. Da questo semplice postulato Rotella, come molti altri artisti, respingono volontariamente la realtà naturale, presa come modello, la realtà è una sostanza, non un’apparenza. Questo da supporto anche nel rifiuto a Guttuso&Co., al figurativo. La realtà è una sostanza da cogliere in tutti i suoi aspetti, in tutte le sue facce, nella sua poliedricità più ampia. E’ il segno di questa lacerazione, di questo strappo finanche metaforico che le avanguardie hanno prodotto. Uno sguardo nuovo. Uno sguardo diverso. Di chi, come Rotella, ha rappresentato il nuovo, il cambiamento.
Un uomo che volle farsi leggenda.
L’ora della lucertola, come ampiamente ripetuto, è una sequenza di ricordi e memorie. Fondamentalmente un moderato, un uomo che al contrario delle apparenze non amava esagerare. Straniante considerati gli eccessi ai quale ci hanno abituati gli artisti, considerato anche che il nostro in questione ha passato buona parte della sua vita a Milano, in quella milanodabere esaltata anche dalle parole di Beppe Viola. E’ un regalo che Calopresti ci dona, è un’occasione che Rotella ci dispensa. Della magia, della poesia, dell’arte. Una sequenza infinita di passi, una sequenza infinita di sogni, di prospettive verso direzioni varie e infinite.