L'angelo dei muri
Il nuovo film di Lorenzo Bianchini è un thriller psicologico sui traumi del passato.
La vita di Pietro viene scossa dall’avviso di sfratto. La sua routine tranquilla e solitaria deve tramutarsi in qualcos'altro, così l’uomo si fa fantasma e costruisce un muro per crearsi un rifugio nascosto e non lasciare la dimora. Ma quando arrivano una madre e sua figlia qualcosa cambia ulteriormente, la connessione con quella bambina che sta per diventare cieca e l’ostinazione a non abbandonare quelle mura, permetteranno a Pietro di rivivere qualcosa mai dimenticato.
Lorenzo Bianchini riconferma un certo gusto per la sottrazione e l’introspezione: L’angelo dei muri è un thriller psicologico che guarda a Polanski e ai maestri dell’horror italiano. I dialoghi sono ridotti al minimo e le linee temporali si alternano e confondono. Il regista predilige i piani sequenza per muoversi in quella casa che diventa corridoio della memoria e protezione per l’anima.
L’anziano Pietro, egregiamente interpretato da Pierre Richard in un ruolo per lui insolito, si muove nell’appartamento che vive come ancora suo, e, se dalla madre si nasconde per paura di essere cacciato via, si fa percepire da quella bambina che sente così familiare. Bianchini ci porta nel labirinto della memoria, suggerisce, manda segnali affinché lo spettatore possa iniziare a chiedersi chi sia in realtà Pietro. Mentre la famiglia cerca di abituarsi a quel nuovo ambiente, l’anziano signore è sempre più incuriosito da loro anche se ne percepisce l’ostilità. È lui un fantasma o sono loro? Ci chiediamo memori della lezione di Amenábar e Shyamalan.
La città di Trieste, dove è ambientato il film, fa da sfondo perfetto svolgendo il ruolo di crocevia fantasmatico, luogo di confine tra il qui e l’altrove, rilanciando la dimensione liminare in cui si muovono tutti i personaggi. Seppure in un finale troppo esplicativo e un po’ prevedibile, il film ha un’atmosfera onirica e tesa che ci incuriosisce su quale sia la vera storia del protagonista. La fotografia, affidata al direttore Peter Zeitlinger, collaboratore di Werner Herzog, contribuisce a creare ancor più spazi offuscati e indecifrabili, proprio come le incerte vie dei ricordi.
Non ci sono jumpscare o soluzioni che possano far balzare lo spettatore, ma tutto il film si regge da un lato sulla tensione e sul non detto e dall’altro sull’empatia che piano piano si prova verso quel tenero protagonista.
L’angelo dei muri è un buon prodotto, sapientemente scritto e girato, Bianchini si riconferma un regista che sa come gestire il genere e raccontare storie attraverso un cinema asciutto, tra suggestioni e ambiguità.