Loro di Napoli
La leva calcistica di una cittadinanza vissuta di fatto, eppure mai posseduta di diritto, tuttavia lontana da stereotipi e condanne.
"Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perchè loro sono come ero io a Buenos Aires"
Maradona, 5 Luglio 1984, Stadio San Paolo
Loro di Napoli, loro che a Napoli... crescono rincorrendo un pallone e la brama di vita.
La regia di Pierfrancesco Li Donni, risemantizza il titolo del celebre film diretto da De Sica nel 1954, per dirci ancora di miserie e caparbietà dell’universo partenopeo, sempre eccentrico crogiolo d’umanità, atavico e autarchico ombelico di sopravvivenze, i cui picchi più perturbanti proprio il cinema s’è fatto carico di portare alla luce negli ultimi anni (per tutti Napolislam di Ernesto Pagano). Nel paese, il nostro, in cui l’affezione collettiva alla bandiera, simbolo di aggregazione e appartenenza nazionale, esplode inarrestabile ormai quasi esclusivamente in occasione del campionato mondiale di calcio, è da tempo che la competizione calcistica medesima, s’è fatta indiscutibile epopea, mitologia d’eroi, consacrati da una irrefutabile fede popolare, cui solo secoli di controriforma cristiana potè mai ambire. E dove se non a Napoli, che custodisce per le sue strade un altarino mistico d’El Pibe de Oro, meta di devozione con tanto di reliquia (un capello di Diego Armando Maradona) può compiersi un piccolo, grande miracolo laico nel secolo attraversato dallo strazio delle migrazioni di massa: qui nasce e gareggia l’Afro-Napoli United. La squadra di calcio composta in maggioranza da giocatori stranieri di colore e non, noti e ignoti alla città, tutti, contro ogni politica di pensiero, inestimabile risorsa di valore atletico, potenziale d’azione in un campo di gioco esistenziale, che è la vita stessa.
Maxime, presumibilmente magrebino, aspira, spera, si illude e disillude che il reclutamento in una squadra di calcio rappresenti presidio socio-assistenzale per avere una casa, lavoro, una carriera e chissà un giorno la propria famiglia - è certo che a sua madre, lontana chissà dove, Napoli piacerà! ; Adam, vive da almeno dieci anni a Napoli con sua madre adottiva, ha conseguito un diploma ed una padronanza linguistica del napoletano stretto che impressiona l’udito, si divide tra il mercato nero delle contaffazioni ai margini dei traffici di droga e i video poker; infine Lello, nato a Napoli ma mai dichiarato all’anagrafe, inesistente per le istituzioni, apolide tutt’al più, è diamante di punta per la squadra e non ha che la burocrazia del tesseramento federale per ottenere finalmente "il documento", veritiero o falsificabile che sia, non importa, purchè raggiunga compagna e figlioletto, a loro volta immigrati a Parigi. Ma non solo loro, quanti mancano di una residenza reale ed ufficiale, perchè consuetudine vuole che nessun proprietario di casa regolarizzi affitti e sub affitti e tuguri abusivi?. Per loro dell’ Afro – Napoli è data la panchina a bordo campo e l’estenuante attesa.
Li Donni pedina giocatori e il Mister (l’uomo che ha fatto di necessità pubblicità) in un agone di riconoscimento e riscatto sociale, ma ancor prima in un limbo di tensione solidale, in cui la volontà e la grinta si impongono a funzionari, impiegati, lungaggini formali e scartoffie da raggirare e auspicabili leggi a venire come l’agoniato Ius soli.
Su un doppio binario parallelo si tifa per lo scatto di categoria della squadra, dai tornei di provincia al campionato di terza fascia di F.I.G.C., scavando al contempo, minuto per minuto una vera e propria trincea di disciplina e sacrifici, per innestare al territorio non solo le etnie di germogli di cui è culla sommersa, ma anche una sorta di retta condotta morale. Quella che non è riuscita di infondere all’accoglienza precostituita, alle famiglie, alla scuola, alla giugla urbana. Sui vicoli della città svetta un sogno ( le ripetute panoramiche nell’ascensore di vetro dei grattacieli specchiati del noto Centro Direzionale, quartiere giganteggiante di magnificenza) e la città deve saperlo, per gioirne, per portare in processione come da tradizione i figli gloriosi, i putativi di sangue, che segnano il miracolo più estatico che i nostri tempi ancora conoscano, a Napoli come altrove, l’ovazione d’un rigore in porta. Fuori di metafora, la testimonianza di una cittadinanza vissuta di fatto, eppure mai posseduta di diritto, tuttavia lontana da stereotipi e condanne.