Materiale Resistente
Il 25 aprile, la Resistenza, l’antifascismo; e ancora, la memoria e il pericolo del revisionismo. Guido Chiesa e Davide Ferrario indagano e registrano, nel cinquantenario dal giorno della Liberazione.
«L’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva:
la storia insegna, ma non ha scolari.»
Antonio Gramsci, in Italia e Spagna, L’Ordine Nuovo, 11 marzo 1921, anno I, n. 70
«La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace [...]»
Primo Levi, incipit de I sommersi e i salvati
Questa volta proponiamo un Sotterraneo che viene da lontano. Un’opera che proviene addirittura dal secolo scorso. Un documentario scelto e riportato alla luce – del nuovo secolo – per omaggiare maggiormente il Settantenario del 25 Aprile e della Resistenza. Materiale resistente di Guido Chiesa e Davide Ferrario è stato scelto non tanto per le sue qualità artistiche ma per le sue qualità intrinseche, che permettono una congrua discettazione sullo spinoso e mal digerita questione dell’antifascismo. Realizzato nel 1995 Materiale resistente faceva parte di uno stimolante package “partigiano” che comprendeva un Compact Disc (Materiale resistente 1945-1995) con i canti dei ribelli in versioni rivisitate da gruppi musicali indipendenti e schierati, e un libro fotografico (Materiali resistenti, curato da Davide Ferrario) che riportava alcune dichiarazioni degli autori e degli artisti su questo evento e il 25 aprile. Il documentario Materiale resistente nasce casualmente quando i due registi vengono a sapere che Massimo Zamboni, chitarrista e co-fondatore dei CCCP e dei C.S.I., decide con l’etichetta indipendente dei Dischi del Mulo di approntare un concerto a Correggio per il 25 aprile del 1995. Un\'esigenza, messa in festa di aggregazione, non solo per rendere omaggio ai cinquant’anni della liberazione, ma anche per il delicato momento politico che l’Italia stava vivendo, perché nella metà degli anni Novanta c’era nuovamente l’esigenza di testare l’antifascismo nella società. In questo delicato ambito celebrativo Davide Ferrario e Guido Chiesa non vogliono limitarsi a imprimere su nastro un semplice documento sull’evento, ma sfruttare quell’incontro musicale per ragionare e realizzare una riflessione sull’antifascismo e sulla memoria storica, del passato e del presente. La domanda che aleggiava nel documentario vent’anni fa, e che spira anche oggi a distanza di vent’anni da quel concerto a Correggio, è: «Cosa resta della Resistenza e del 25 aprile nella memoria collettiva?». Domanda fondamentale soprattutto perché il revisionismo storico è sempre dietro l’angolo, e i soliti poteri tentano pedissequamente di riscrivere la storia e piegarla ai propri interessi.
«Sono tornati
da remote caligini
i fantasmi della vergogna
troppo presto li avevamo dimenticati»
L’anno precedente, cioè nel marzo 1994, in Italia le elezioni erano state vinte da Forza Italia di Silvio Berlusconi, che si era alleato con Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini e la Lega Nord di Umberto Bossi. Tre partiti vagamente differenti nella concezione dello stato, ma uguali nella mentalità e negli atteggiamenti squadristi. Quella vittoria, che sanciva anche – malamente – la nascita della “Seconda Repubblica”, fa tornare alla mente una manciata di versi vergati da Piero Calamandrei nella sua epigrafe scritta contro la Legge Truffa del 1953; Legge elettorale proposta dalla Democrazia Cristiana che rilevava l’amarissima certezza di un mai sopito fascismo. Ecco, dopo cinquant’anni e il violento e sanguinoso tentativo della Strategia della tensione, il fascismo era tornato al potere. Il 25 aprile 1994, in una giornata dove pioveva a dirotto, una immensa folla di gente inonda le strade di Milano per gridare forte che l’Italia non vuole un nuovo ventennio nero. Quel corteo, fitto di gente ed ombrelli, viene anche ripreso e inserito da Nanni Moretti nel suo diario Aprile, con l’entusiasmante commento dell’autore romano. Nel gennaio 1995, fortunatamente, questa agghiacciante coalizione decade, ma cioè non toglie che mai come prima c’è nuovamente bisogno di rinforzare la memoria della Resistenza e dell’antifascismo attraverso ogni tipo di iniziativa che possa far ricordare e non far scendere le caligini dell’oblio.
«Lo storico che si dichiara obiettivo o è uno sciocco, o un uomo in malafede, quasi lupo travestito da agnello» Così Gaetano Salvemini (Scritti di politica estera Vol. III, Feltrinelli 1967) invitava alla “rettitudine” intellettuale: dichiarare le proprie passioni e, allo stesso tempo, prendere «le contromisure nei loro confronti». Ciò significa essere onesti, sul piano intellettuale, e rigorosi sul piano del metodo di ricerca. Il revisionismo storico sulla Resistenza ha cominciato a prendere piede a metà degli anni Sessanta, in un momento in cui l’Italia da un lato viveva gli strascichi del boom economico e dall’altro incominciava a impaludarsi sempre più nell’immobilismo centrista. Complice – non voluto – di questo revisionismo anche il primo volume della monumentale biografia su Benito Mussolini che lo storico Renzo De Felice aveva dato alle stampe (Mussolini il rivoluzionario, Einaudi 1965). Opera mastodontica, di certosino lavoro storiografico, questa biografia comincia però a generare un solco in cui si cerca di attutire le gravose responsabilità del fascismo. Con questo nuovo percorso si comincia a parlare di “guerra civile” e non di Liberazione, quindi di equiparare Repubblichini e Partigiani. Ad esempio il giornalista e storico Giorgio Pisanò, ex repubblichino, è uno strenuo difensore di questa apertura a destra. Detto revisionismo continuerà subdolamente anche nei decenni successivi e sfocerà nei best-seller di Giampaolo Pansa, giornalista che si reinventa storico professionista, che vuole mostrare il vero volto di quella lotta (opera notoria è il suo Il sangue dei vinti). Il problema sorge quando queste nuove ricerche vengono adottate e usate come armi da certi politici che non hanno mai digerito l’antifascismo, e vogliono ribaltare i fatti. Colpa di una Italia mai de-fascistizzata realmente ma colpa anche di una sinistra che ha paura di questi “fantasmi” patriottici e resistenziali. Con l’avvento in politica di Silvio Berlusconi nel 1994, che ha definitivamente sdoganato i fascisti in parlamento, questo astio verso quel passato e il 25 aprile si è acuito. Alleanza Nazionale – e partitini affini – hanno riproposto già dagli anni Novanta l’equiparazione dei massacri delle Foibe con le morti dei partigiani, arrivando, infine, ad ottenere, il 30 marzo 2004 con legge n. 92, che il 10 febbraio vi sia il giorno della commemorazione di quelle vittime (Giorno del ricordo). Durante il secondo governo Berlusconi (2001-2006) questo attacco diventa ancora più spietato. In primis si cerca di controllare i libri di storia per le scuole, che il “nuovo” governo (Berlusconi-Fini-Bossi) ritiene che ci sia bisogno di una riscrittura dei fatti raccontati dopo i recenti revisionismi; poi Gianni Baget Bozzo, esecrabile uomo di chiesa, nel 2002 consiglia di sostituire tale data con quella del 4 novembre (Giornata delle forze armate) e, addirittura, la rivista Il Domenicale di Marcello Dell’Utri propose nel 2005 l’abolizione di questa commemorazione. Come cornice a queste idee le costanti assenze di Berlusconi – Capo dello Stato – alle commemorazioni del 25 aprile. E sempre restando con il riflettore su codesto personaggio, nel lontano 2009 (Berlusconi Ter) propose di cambiare la denominazione da Festa di Liberazione in Festa della Libertà, che oltre ad attenuare e sviare il profondo senso di tale commemorazione, era un infido modo di fare propaganda al nome di una sua vecchia coalizione (Casa delle Libertà). Questi revisionismi, più politici che profondamente storici, si palesano ancor maggiormente quando si cerca di riscrivere la Costituzione, con la scusa di ammodernarla e eliminare quelle nozioni fondanti che cercavano di creare una democrazia e evitare un nuovo totalitarismo.
«Si, il film mia cara amica, lo ricordi, è essenzialmente documento, non letteratura. Non è destinato ai posteri il cinema, se non è per oggi è inutile.». Queste sono le parole che il pluripremiato regista “impegnato” Jerzy Bursky dice alla testarda giovane film-maker Agnieszka nella pellicola L’uomo di marmo di Andrzej Wajda. La famosa pellicola polacca venne distribuita in Italia dalla Lab80, di cui Davide Ferrario era uno dei soci, e Wajda verrà poi intervistato nel documentario La strada di Levi, dello stesso Ferrario. Non sappiamo con certezza se l’autore bergamasco ha fatto tesoro di questa cristallina frase cinematografica, ma è certo che citarla in tale ambito è corretto; non solo per Materiale resistente, ma anche per le altre opere cinematografiche resistenziali – politiche e sociali – che hanno solcato cinquant’anni e oltre il piccolo e il grande schermo. Il cinema italiano ha un congruo listino di pellicole che hanno trattato la Resistenza, e come ondate, pregne di impegno morale ma anche di puro fine produttivo/commerciale, queste pellicole hanno cercato di mostrare quei delicati e ancora non cicatrizzati momenti. La prima ondata avvenne “spontaneamente” e necessariamente negli ultimi giorni della Seconda Guerra Mondiale, e forma una parte consistente del Neorealismo italiano. Purtroppo con la ricostruzione, l’assestamento economico e, soprattutto, con la ferrea gestione DC, il Neorealismo viene taciuto bruscamente e la sua costola resistenziale viene anch’essa sedata. Il tema resistenziale risorge alle fine degli anni ’50, attraverso due successi: La grande guerra di Mario Monicelli e con Alberto Sordi e Vittorio Gassman, e Il Generale della Rovere di Rossellini e con Vittorio De Sica. Questi ottimi risultati riaccendono le macchine da presa su quegli avvenimenti accorsi quindici anni prima ma le poche opere che vengono prodotte fanno leva più sugli aspetti melodrammatici che su vere e proprie riflessioni sul passato, oppure come opere anti-retoriche e/o dovuti atti di memoria. Con il consolidamento della televisione di Stato, il tema resistenziale viene trattato maggiormente sul piccolo schermo attraverso approfondimenti, a volte ben curati e altre volte di blanda informazione. In questo formato va menzionato il documento curato da Ermanno Olmi e Corrado Stajano, Nascita di una formazione partigiana, del 1973. È un’opera che mescolava meticolosa ricostruzione storica e interviste a ex partigiani (chissà, forse è anche una fonte d’ispirazione non riconosciuto di Materiale resistente). La Resistenza viene tuttavia trasposta sul grande schermo a volte anche con magniloquente visione (Novecento di Bernardo Bertolucci e la immaginifica ballata sotto l’immensa bandiera rossa) fino agli ultimi esiti letterari della fine degli anni Novanta e la trasposizione del best seller pseudo storico Il sangue dei vinti da parte di Michele Placido.
«[...] I materiali valorosamente raccolti non devono stare là nelle scaffalature in una indeterminata attesa, diventando sempre più archivio, secondo il vecchio vocabolario, perché sono percorsi da una viva impazienza di entrare nella dialettica odierna delle lotte democratiche e di contribuire così a creare una informazione più libera fin dalla sua radice.» [stralcio citato in Un cinema se... di Ansano Giannarelli, in Cinenotizie in poesia e in prosa: Zavattini e la non-fiction, Lindau, p. 33]. Così Cesare Zavattini, uno dei padri fondatori del Neorealismo, sottolineava l’importanza dei documenti – visivi – raccolti e di come devono essere sempre riproposti e divulgati. In questa esternazione rientra molto bene l’intento di Materiale resistente (Ferrario scrisse anche un capitolo in detto libro, una “confessione” in cui parlava della sua carriera da documentarista). Materiale resistente nel suo svolgimento vuole fare il punto della situazione e capire cosa è l’antifascismo e cosa ne è rimasto in quella metà degli anni Novanta, che segnava un cinquantennio dalla Liberazione ma in cui il fascismo permaneva. Cercare di fare, attraverso un documentario, una ricognizione tra il presente e il passato; tra il nuovo, i giovani, e il vecchio, i partigiani. Il titolo è desunto dalla “fumata” frase che Giovanni Lindo Ferretti dice mentre si sta allestendo il palco per l’evento: «Che cos’è la resistenza? Ha superato trent’anni di retorica…vuol dire che c’era del materiale resistente sotto». Ferretti rileva, anche se in modo abbastanza altisonante, come la memoria della Resistenza e delle lotte per la libertà siano ancora echi molto forti, seppure sono passati cinquant’anni. In quel lontanissimo 1995 l’Italia aveva ancora la fortuna di avere in vita la gente che aveva fatto quelle lotte. I partigiani che sono intervistati raccontano i fatti con trasporto ma anche come vicende quotidiane, e i loro vividi racconti rinvigoriscono la memoria collettiva. Oggi, che sono passati settant’anni dal 1945 e vent’anni dal 1995, quelle memorie viventi sono quasi tutte morte. Ad esempio questo 2015 ha visto lasciarci uno dei più noti partigiani italiani, Massimo Rendina alias il Comandante Max.
Il montaggio del materiale d’archivio presente in Materiale resistente ci permette di vedere come il 25 aprile in questi ultimi anni si sia affievolito nella cultura, vero atto criminoso di quelle istituzioni che vogliono nascondere e distruggere quell’ingombrante passato. In un filmato d’epoca Bruno Vespa, in un Tg1 del 1985, sottolinea maggiormente come questa data sarà importante non per la sua storia, ma perché crea un lungo ponte festivo (il 25 aprile 1985 cadeva di giovedì). Vediamo le riprese di una Festa dell’Unità in cui Walter Veltroni stringe la mano a Gianfranco Fini, ancora in odore di «Mussolini il più grande statista del secolo» (La Stampa, 1º aprile 1994). Questi fatti, che possono sembrare delle sciocchezzuole, sono invece un pericoloso revisionismo. A dimostrazione di questa poca conoscenza anche le interviste raccolte durante il concerto a Correggio, in cui alcuni giovani non sanno esattamente cosa rappresenti il 25 aprile oppure fanno altisonanti affermazioni di antifascismo ma con nessun radicamento storico radicato.
L’intento principale di Materiale resistente è di evitare la retorica, e le videocamere che raccolgono il materiale rappresentano lo stupore dei due autori, che vogliono sapere e vogliono capire. A queste riprese sull’oggi – cioè al 1995 – si mischiano le immagini di repertorio, materiale – resistente –d’archivio che mostrano i ribelli di allora. Il concerto evento, fulcro di questa iniziativa, viene quasi messo a lato e le performance frammentate degli artisti sono come schegge che servono per rallegrare il materiale. Quello che invece permane sono le canzoni, che fanno da leitmotiv alle variegate immagini del passato, e innervano il discorso della e sulla memoria. Quei canti sono dei racconti orali di quei momenti, di quelle lotte e di quelle vittime, e sovrapponendole alle sgranate immagini d’archivio le fanno tornare vive e battagliere. Ma Materiale resistente, oltre che essere un viaggio presente-passato-presente, è anche un documentario geografico. Correggio, Roma, Torino, Milano, Marzabotto, l’Emilia Romagna … sono i centri che vengono sondati per vedere se il materiale resistente è persistente. Città che hanno dato i natali a molti ribelli di quell’epoca e centri di quei lontani focolai. In questo percorso al presente sulla ricerca della memoria, Ferrario va anche a Predappio, luogo culto in cui viene celebrato e commemorato Mussolini. Un momento visivo in cui Ferrario, presente anche come attonito “turista” che ascolta l’accalorata spiegazione di una guida, riesce a rilevare come il mito si sia trasformato in puro commercio, non lontano da quella prassi economica attuata dal Vaticano. Fascismo che viene anche deriso attraverso gli altisonanti filmati d’epoca realizzati e conservati dall’Istituto Luce.
Materiale resistente non ha avuto (un) seguito e non si può nemmeno considerare come generatore di una nuova ondata di pellicole sulla Resistenza. È vero che in quel secondo scorcio degli anni Novanta la produzione italiana si era rituffata nuovamente sull’argomento con opere lodevoli, ma che hanno riscontrato effimera attenzione da parte del pubblico. Il partigiano Johnny di Guido Chiesa, tratto da Beppe Fenoglio, e I piccoli maestri di Daniele Luchetti, tratto da Luigi Meneghello, non hanno avuto presa verso le nuovissime generazioni. Anche il vituperato Porzûs di Renzo Martinelli ha avuto più clamore che fama (realizzato nel 1997 verrà trasmesso dalla Rai solo nel 2012). Molto più interessanti, anche se non hanno avuto il medesimo successo, i lavori “partigiani” seguenti di Guido Chiesa. Nel 1996 realizza per Rai 2 il documentario Nascita di una democrazia, che racconta, in due puntate, i fatti seguenti alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1998 Guido Chiesa realizza ben tre opere sulla Resistenza. Omaggia nuovamente Fenoglio attraverso il documentario Una questione privata. Di nuovo congiuntamente con Davide Ferrario e l’aggiunta di Daniele Vicari, Antonio Leotti e Marco Puccioni, dirige per la televisione Partigiani, che è una nuova ricognizione storica e memoriale realizzata tra fiction e documentario. Infine, con la collaborazione dei C.S.I., rende ancora omaggio a Fenoglio con Un giorno di fuoco, documentario sul concerto tenuto dal gruppo emiliano nella chiesa di San Domenico e in cui vengono recitati alcuni scritti dell’autore piemontese.
Materiale resistente anche con i difetti di costruzione rimane un sentito omaggio e documento che fa palpare il sentimento di che cosa c’era a metà degli anni Novanta. Il documentario deve essere un “tomo” visivo che racconta vicende e fatti con piglio storicistico. Scevro da retorica e spettacolarizzazione deve mostrare senza filtri il reale e indagare con rettitudine il passato. In questo perimetro morale Materiale resistente vi rientra pienamente e nella sua epifanica indagine si riesce ad avere un quadro bello e inquietante di quell’Italia di vent’anni fa. Bello nel momento in cui giovani accolgono calorosamente il Comandante Diavolo, ma preoccupante quando non hanno una ferma e concreta idea sull’antifascismo. Queste preoccupazioni era forti vent’anni fa e oggi, dopo che molte voci sono scomparse, e dopo che molto revisionismo ha attecchito nella società, sono ancora maggiori. La Resistenza è sempre più vista come un peso, soprattutto per questa nuova sinistra. Le commemorazioni, e il prolungamento della memoria, si muovono tra la consueta donazione della corona di fiori al Milite Ignoto (che sarebbe comunque un monumento della Prima Guerra Mondiale), e una ricca programmazione di film, molto volte poco attinenti al senso profondo del 25 aprile, che cercano di assolvere il dovere di commemorazione. A queste consuete azioni fanno da corollario blandi articoli o faziosi approfondimenti televisivi.
Ad esergo di questa recensione sono state inserite due dichiarazioni di due intellettuali, diversissimi tra loro ma che rilevavano come la memoria sia importantissima ma labile. Due citazioni che non sono resistenziali, ma universali. Su questi due profonde considerazioni Materiale resistente si muoveva – forse inconsciamente – e cercava di insegnare, senza paternalismi alimentando, senza retorica, il ricordo.