McBetter
L'esordiente Mattia De Pascali confeziona un piccolo horror indipendente che rilegge Shakespeare con sguardo fresco e dissacrante
È un oggetto curioso sin dal titolo, McBetter, sorta di ibrido tra quei due estremi che ne delimitano e definiscono l'universo tematico: Macbeth e McDonald's. Parte proprio dall'opera di Shakespeare infatti questo piccolo horror indipendente prodotto, scritto e diretto dall'esordiente Mattia De Pascali, un riferimento che resta ben saldo anche quando il film, aggiornando il dramma e trasportandolo nel presente (dove il regno da conquistare, questa volta, non è la Scozia ma una catena di fast food), si immerge a capofitto nel grottesco e nell'assurdo, dando vita a un prodotto infarcito di riferimenti pop ma forte di una genuina originalità di fondo.
È forse proprio questa capacità di ridefinire un classico con coraggio mantenendo intatto il proprio sguardo dissacrante, il maggior pregio di una pellicola in grado di volgere persino la ristrettezza di mezzi (un budget di appena 10mila euro) a proprio favore, mettendo abilmente in scena una tragedia che condensa su di sé toni e suggestioni differenti, dalla commedia, al grottesco, dal dramma allo splatter, senza mai cadere in quel gusto per il citazionismo fine a se stesso troppo spesso abusato in esordi di questo tipo.
Servendosi del dramma shakespeariano per delineare rapporti e motivazioni dei suoi personaggi (con trovate a tratti geniali: come la figura delle tre streghe condensata in quella di una maga di una tv locale), De Pascali da così vita a una lotta per il potere – quella tra il vecchio imprenditore McBetter (Nik Manzi) e il giovane e ambizioso Malcolm (Andrea Cananiello) – che è, prima di tutto, scontro generazionale, una satira cinica e amara che non risparmia nessuno, tra padri dispotici che non retrocedono di un passo e figli immeritevoli pronti a tutto pur di inseguire illusorie promesse di gloria. A fare il resto, venendo spesso in aiuto di interpreti non sempre all'altezza, ci pensa una regia sicura e abile nel costruire la tensione e nel mantenere in equilibro i vari registri, sorretta dalla fotografia di Islam Mohamed (funzionali i rimandi a Suspiria e a Refn) e dall'apporto di David Bracci agli effetti speciali, con trovate gore mai scontate e trucchi decisamente respingenti.
Il risultato è un film capace di non prendersi mai veramente sul serio, neppure quando al grottesco si sostituisce il più classico degli home invasion, e il dramma precipita in un incubo alla Shining. Una farsa beffarda e pessimista sulle ambizioni mancate, che si stempera solo nei minuti finali, quando l'orrore quotidiano di un mattatoio irrompe nella finzione e la tragedia si rispecchia ancora una volta nella logica famelica del fast food.