Mise en scène with Arthur Penn (a Conversation)
Una delle migliori esperienze di Venezia 71, un incontro entusiasmante tra due grandi del cinema
Per comprendere l’operazione compiuta da Amir Naderi con Mise en scène with Arthur Penn (a Conversation) dobbiamo tornare a Cut, lavoro del regista iraniano, presentato alla mostra del cinema di Venezia nel 2011.
L’idea alla base del film era quella di una idealistica redenzione da un ambiente criminale che per il protagonista, un cinefilo organizzatore di cineforum, passava attraverso un amore smisurato per il cinema, un amore che gli permetteva di sopravvivere a un violento pestaggio semplicemente elencandosi mentalmente i cento migliori film della storia del cinema. In Atlante sentimentale del cinema, curato da Donatello Fumarola e Alberto Momo, è lo stesso Naderi a dichiarare: ”Io amo il cinema, e voi lo sapete. Per il cinema ho sacrificato tutto: il mio paese, l’ambiente in cui vivevo, la mia famiglia, la mia vita, tutto”. Il cinema, ancora una volta, come una magnifica ossessione che ha reso Naderi un regista apolide, dall’Iran delle sue origini alle esperienze newyorkesi degli anni Novanta, fino al Giappone dei maestri Ozu e Mizoguchi dove ha realizzato Cut. Il cinema del regista iraniano sembra, tra le tante cose, anche un viaggio alla ricerca dei propri amori cinematografici e della possibilità di confrontarsi con i luoghi e le atmosfere che hanno caratterizzato i film amati. Occorre partire da qui per capire l’importanza di un lavoro come Mise en scène with Arthur Penn (a Conversation) all’interno del percorso registico di Naderi.
Dal 2005 il regista iraniano ha incontrato più volte Arthur Penn, il grandissimo regista di Ganster Story, Piccolo grande uomo, Bersaglio di notte. Sono stati incontri personali, intimi, ripresi con una semplice videocamera e che hanno prodotto un materiale privo di una finalità se non quella della sua stessa esistenza, il piacere, per Naderi, di conversare per ore e ore con uno dei suoi maestri. Arthur Penn è morto nel 2010 e qualche anno dopo Enrico Ghezzi ha convinto Naderi a rendere visibili queste lunghe interviste, non ricorrendo però, ed è questo l’aspetto più interessante del lavoro, a nessun tipo di montaggio: per tre ore e quaranta assistiamo esclusivamente a un primo piano di Arthur Penn e alle sue conversazioni con il regista.
Ne esce un lavoro assolutamente emozionante, non una semplice intervista a Penn ma un vero e proprio one plus one, un Naderi più Penn, che ci dice tantissimo su entrambi i registi.
Da una parte l’anziano maestro disponibile a scavare nella propria memoria, a raccontare aneddoti irresistibili (i quattro giorni di riprese dedicati alla sparatoria conclusiva di Gangster Story), a lasciarsi andare a considerazioni teoriche (“bisogna usare il film stesso per raccontare una storia”) capaci di suscitare il rimpianto per una generazione e per una consapevolezza nel guardare al cinema ormai in via d’estinzione. Dall’altra parte il cinefilo Naderi, all’esatto opposto di un giornalista tradizionale, dotato di una vitalità contagiosa che spesso prende il sopravvento, si impone su Penn, parla delle sue passioni, del suo cinema. L’amore per Hawks, per George Sidney e George Stevens, le perplessità su Hitchcock (definito un meccanico senza passione), il racconto delle prime esperienze sessuali di Penn (ideali origini dell’erotismo latente in tutta la sua opera), il racconto emozionante dell’amicizia con Kazan, il rapporto con tutti i suoi sceneggiatori: sono solo frammenti di un discorso meravigliosamente caotico, disorganizzato, che ha la verità di un sincero confronto tra due personalità straordinarie e fuori dagli schemi, capace di trasmettere una passione ed un entusiasmo commoventi.
A fine proiezione Amir Naderi ci ringrazia e ci promette la versione di cinque ore presto in onda su Fuori Orario. Cinque ore che ci sembrano comunque poche: Mise en scène with Arthur Penn (a Conversation) è un laboratorio che vorremmo non finisse mai.