«Questo è un film che deve essere visto dai giovani» afferma Giovanna Mezzogiorno alla presentazione di Negli occhi, alla Casa del Cinema di Roma. In sala, molte delle persone che hanno contribuito alla realizzazione di questo documentario sulla vita di Vittorio Mezzogiorno. Ci sono i due registi, Daniele Anzellotti e Francesco Del Grosso, e c’è Pino Daniele, che ha composto le musiche. Presenti anche Rocco Papaleo e Marco Tullio Giordana, che hanno partecipato in veste di amici di Vittorio, condividendo i propri ricordi e aneddoti su di lui. E ovviamente non manca Giovanna, sua figlia, co-produttrice e voce narrante del film.
La necessità, secondo l’attrice, di far conoscere la storia di suo padre, scaturisce proprio dalla volontà di rendere note le vicende di questa vita turbolenta, segnata dal successo e da grandi soddisfazioni professionali, ma anche da dolori ed errori. L’obiettivo è quello di raccontare la parabola di un uomo che si è costruito da solo la propria fortuna e che per questo può essere d’esempio alle nuove generazioni.
Più che per la capacità di “essersi fatto da solo”, però, la figura di Vittorio Mezzogiorno, così come emerge dai racconti di chi lo ha conosciuto, colpisce proprio per la sua normalità, per il fatto di essere stato un uomo come molti, che ha vissuto pienamente la sua vita (troppo breve: Mezzogiorno è morto nel ’94 all’età di cinquantatré anni) a volte riuscendo e a volte sbagliando.
Grandi opportunità hanno segnato la sua esistenza: è stato diretto da registi cinematografici del calibro di Giuliano Montaldo (Il giocattolo), Francesco Rosi (Tre fratelli), Carlo Lizzani (La casa del tappeto giallo), Marco Bellocchio (La condanna) e Werner Herzog (Grido di pietra); ha preso parte a grandi rappresentazioni teatrali per la regia di Eduardo de Filippo (Le farse di Scarpetta e Il contratto), Mario Martone (Ritorno ad Alphaville) e Peter Brook (The Mahabharata); ha sposato l’attrice Cecilia Sacchi, strepitosa nell’intervista in cui afferma «Vittorio è stato la mia malattia», che gli è rimasta accanto anche quando lui, in tournée in America, ebbe una figlia da un’altra donna; ha dato alla luce Giovanna, che nel 2009, a quindici anni dalla sua scomparsa, gli ha dedicato questo documentario che raccoglie le testimonianze di chi lo ha conosciuto e frequentato, restituendone oggi un ritratto vivo, intimo e profondamente complesso.
Il tono dell’opera, a tratti leggero e scanzonato, diventa decisamente più solenne nei momenti in cui si parla della sua vita artistica. Molto dettagliata (forse troppo) la parte in cui si parla della collaborazione con Peter Brook, pietra miliare nella carriera di Mezzogiorno. Carriera che, come emerge molto chiaramente dal finale, Vittorio ha potuto avviare e proseguire soprattutto grazie al supporto delle persone che lo hanno amato: interessante la ricostruzione di una casa di Latina in cui tutti si riuniscono per le riprese finali del film, con tanto di cornice che racchiude la famiglia in una fotografia quanto mai “viva” e toccante.
I punti forti del documentario sono sicuramente il montaggio e la regia dinamica, con più di una cinepresa in funzione per ogni intervista, così da evitare la staticità del punto di vista. Un’opera dunque ben realizzata, anche se non del tutto esente da una vena retorica che smorza la naturale empatia dello spettatore per un personaggio così umano e allo stesso tempo così fuori dal comune.