C’è un filo doppio che lega le esistenze di Lucia Uva e quella di Ilaria Cucchi, un filo del colore vivo dell’ostinazione da una parte e del fievole bagliore della speranza dall’altro. La terminazione è la medesima: una sentenza che sappia portare a galla i motivi che portarono al decesso i rispettivi fratelli, Stefano e Giuseppe, per tutti Beppe. Il percorso intrapreso per il raggiungimento di questa meta passa attraverso anse tortuose, affrontate di pancia da una parte – quella di Lucia Uva, personalità vulcanica e schietta – e di testa dall’altra – Ilaria Cucchi, morigerata al punto da chiedersi dove riesca a trovare quell’ineffabile lucidità –.
Stefano 148 – Mostri dell’inerzia è il lavoro di Maurizio Cartolano presentato all’ultima edizione del Festival di Roma, che narra i fatti che portarono al decesso del giovane ragazzo di Torpignattara; Nei secoli fedele – Il caso di Giuseppe Uva è un lavoro fratello, complementare, che riesce quasi a dialogare con il precedente. Gli amici di Beppe e la famiglia di Stefano, Ilaria e Lucia, tutto sembra foderato entro i confini di una struggente conversazione tra chi – ostinatamente – corre dietro ad un processo aspettando la verità e trattenendo a stento le lacrime. Notti in questura, decessi improvvisi, escoriazioni ed abrasioni presenti sui corpi: moltissime le similitudini, infinite le domande senza risposta. La notte tra il 14 ed il 15 giugno del 2008 è il centro di tutto il racconto, la voce di Alberto Biggiogero ci accompagna nella questura di Varese. Alberto Biggiogero, amico fraterno di Beppe, è l’unico testimone di ciò che quella notte avvenne, insieme a lui solo agenti di polizia. Quella notte Uva e Biggiogero giravano per le strade di Varese, buie e deserte. L’alcool eccessivo li portò a spostare delle transenne al centro della strada, immediatamente intervenne sul luogo una volante pronta a riportare l’ordine dinanzi ad una trasgressione delle regole così grave da non poter passare impunita…
Ciò che seguì quel solerte intervento – finora – non è dato sapere, ciò che resta è quel che Adriano Chiarelli e Francesco Menghini – autori di questo lavoro – hanno saputo raccontarci, è la voce di Alberto Biggiogero e la sua versione dei fatti, sono i pantaloni insanguinati che quella notte Beppe indossava, le bruciature di sigaretta impresse sul suo corpo dilaniato dalle percosse. Fabio Anselmo – già legale delle famiglie Cucchi e Aldrovandi – è , così come in Stefano 148 – Mostri dell’inerzia, figura cardine nel tentativo di ricostruzione di ciò che avvenne quella notte; il punto da lui portato avanti è così logico che anche il più inesperto spettatore in giurisprudenza si installerà il seme del dubbio: perché nell’unico processo finora istituito gli indagati erano – solamente – i medici che presero in consegna Giuseppe Uva? Come può non esser ritenuto rilevante e soggetto ad indagine lo stato in cui il detenuto raggiunse l’ospedale di Varese?
Morto per aritmia cardiaca ci dicono. “Come a dire che una persona colpita a morte con un coltello sia morta per emorragia interna” inveisce uno dei due registi. Come si può sorvolare su aspetti così determinanti della vicenda ci si chiede. Nei secoli fedele – Il caso di Giuseppe Uva tenta di offrire risposte anche su questo quesito, aprendo la porta di uno dei suoi capitoli all’ambigua personalità del Pubblico Ministero Agostino Abate.
Poco altro possiamo aggiungere sul lavoro, perché le sensazioni che scatena sono così viscerali da pretendere la genesi di un punto di vista autonomo e conseguente alla presa visione, troppo palpitante e dolorosa per essere costretta nelle parole. L’ultimo fascio di ricordi ci riporta ad un pomeriggio di circa un anno fa, quando era incontenibile la voglia di correre incontro a Ilaria, Lucia e Patrizia; ebbene, quell’abbraccio è ancora qui, sempre più forte il suo desiderio di vedersi realizzato.